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07 Marzo 2025 - 22:00
Anna Maria Bernini, Ministro dell'università e della ricerca
È ufficiale: il test di ingresso per Medicina sta per andare in pensione. O meglio, non si farà più all’inizio, ma solo dopo un primo semestre aperto a tutti. Un cambiamento epocale che potrebbe rivoluzionare l’accesso alla facoltà più ambita (e temuta) d’Italia. O forse, potrebbe creare un caos senza precedenti.
La riforma, già passata in Senato, è ora in attesa del via libera definitivo alla Camera, previsto entro pochi giorni. Dopo l’approvazione, il governo avrà un anno per riscrivere le regole di accesso ai corsi di Medicina e Chirurgia, modificando la legge 264/1999 sul numero chiuso. In pratica, dal 2025/26, chiunque potrà iscriversi e frequentare il primo semestre, ma poi scatterà la selezione: solo chi avrà superato gli esami con un punteggio sufficiente potrà continuare. Una sorta di “scrematura naturale” basata sui risultati accademici, invece che su un test a crocette.
Gli studenti che non supereranno la selezione avranno due opzioni: ripetere il primo semestre o dirottarsi su altri corsi di laurea affini, come Biotecnologie o Farmacia. Inoltre, nella domanda di ammissione, dovranno indicare più università di preferenza, per evitare il sovraffollamento nelle sedi più gettonate. Fin qui, tutto bene. O almeno, in teoria. Perché la riforma non convince proprio tutti.
Le critiche sono tante e non di poco conto. Prima fra tutte, la capacità degli atenei di reggere l’urto di migliaia di nuovi studenti. Senza un test iniziale a fare da filtro, il rischio è che le università si trovino a gestire un’orda di matricole senza le strutture adeguate. I numeri parlano chiaro: nel 2024, circa 70mila studenti hanno provato a entrare in Medicina. Senza una selezione iniziale, quanti si iscriveranno? E come faranno le università a gestire questa massa senza un aumento dei fondi?
Un altro problema riguarda la qualità della didattica. Con troppi studenti e risorse limitate, il rischio è quello di un boom della didattica a distanza, che snaturerebbe un percorso di studi basato su laboratori e tirocini. E poi c’è il nodo principale: questa riforma risolverà davvero la carenza di medici nel Servizio Sanitario Nazionale? Secondo associazioni come Giovani Medici per l’Italia e la Fondazione Gimbe, il rischio è quello di formare troppi medici che il sistema non sarà in grado di assorbire. Un paradosso: oggi mancano specialisti, ma domani potremmo trovarci con un esercito di giovani dottori costretti a emigrare o a ripiegare sulla sanità privata.
Il ministro dell’Università, Anna Maria Bernini, difende la riforma con entusiasmo: “È una rivoluzione copernicana. Il numero chiuso, così com’era, non esiste più. Abbiamo già aumentato di 30mila unità i posti per Medicina e continueremo su questa strada”. Ma le perplessità restano, soprattutto tra gli studenti e gli addetti ai lavori. Più accessibilità, più opportunità, ma anche più incognite. La riforma del test di Medicina promette di cambiare tutto. Resta solo da capire se sarà un passo avanti o un salto nel vuoto.
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