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«Li ho visti venire giù...»

GRU-CADUTA
Un boato, poi un urlo straziante lacerano la mattina del quartiere Lingotto. «Non voglio morire». Grida che gelano il sangue, oscurano il sole. Quelle di un operaio che agonizza. Arrivano a coprire persino le sirene di ambulanze e vigili del fuoco, mentre sui marciapiedi tra via Genova e via Millefonti si affollano passanti e curiosi, balconi e finestre si riempiono di sguardi in cerca di risposte per l’ennesimo incidente sul lavoro, l’ottavo in una settimana in provincia di Torino. Tre lavoratori sono appena precipitati insieme con le gru che stavano allestendo, per più di cinquanta metri, su automobili in corsa e passanti che nemmeno si accorgono d’esser scampati alla morte per puro miracolo. «Li abbiamo visti oscillare nel vuoto, credo di averli anche osservati bene mentre cadevano ma tutto è durato così poco» racconterà Luigi, l’edicolante che appena un minuto prima dell’incidente era in strada a commentare con due pensionati l’inizio di quel l’ennesimo cantiere portato dal bonus del Governo per rifare le facciate dei palazzi. Si affannano i soccorritori, le ambulanze del 118 sono giunte in via Genova in pochissimi minuti e hanno trasportato i feriti in ospedale; i vigili del fuoco hanno messo in sicurezza il lungo tratto di via, si dispera il proprietario di un appartamento del palazzo di fronte che si è visto tranciare in due il suo alloggio dalla caduta della gru: «Per fortuna - dice - non c’era nessuno in casa, e questa è la cosa più importante». In quel video girato da un passante, più delle immagini, sono le voci a descrivere l’essenza della tragedia. Si percepisce la voce di uno dei responsabili del cantiere mentre telefona al suo superiore: «Che fai in ufficio? Vieni qui che sono tutti morti. Non so cosa sia successo è caduto tutto», poi si mette a singhiozzare, «stavo per andare in pensione, ora mollo tutto». L’uomo è frastornato, in evidente stato di shock, viene invitato a salire su un’ambulanza, gli si misura la pressione; una psicologa cerca di calmarlo, di convincerlo a prendere «qualche goccia», ma lui continua a piangere, senza neppure più parlare. Tra i primi ad arrivare sul posto, i dirigenti dell’azienda Fiammengo, già impegnati in un lavoro di ristrutturazione di un palazzo in piazza Carlo Felice distrutto due mesi fa da un incendio. Sono loro a spiegare l’accaduto, ma senza ovviamente poter immaginarne le cause: «Abbiamo l’incarico di ristrutturare la facciata e rifare i tetti del palazzo. Non abbiamo ancora iniziato i lavori, ma avevamo affidato l’incarico di installazione della gru a una società esterna, la MF Gru, solo successivamente saremmo intervenuti noi come azienda». Non succederà, il pm di turno Giorgio Nicola ha posto sotto sequestro l’intera area e tale rimarrà per alcuni giorni, perché questa tragedia «deve essere chiarita, costi quello che costi - sottolinea Alberto, il titolare del bar dove ieri mattina una delle tre vittime aveva fatto colazione -. Erano tre persone perbene, pensi che, visto che nelle vicinanze c’è più di un bar, per non dispiacere a nessuno, li frequentavano a turno tutti e tre». C’è un uomo che corre da una parte all’altra della strada, chiede di una signora che sarebbe dovuta rincasare e che non risponde al telefono cellulare. Agli operatori del 118 dice il nome e il cognome della sorella. Con particolare delicatezza i sanitari gli comunicano che la donna è tra i feriti, che si trova in ospedale e che non corre alcun pericolo di vita. L’uomo si commuove, piange, «per fortuna è viva, vorrei andare da lei», ci pensano i carabinieri, «venga con noi, la portiamo al Cto, così potrà abbracciare sua sorella». Torino vive un’altra giornata di dolore, per una vicenda che sarà ricordata, come per la tragedia della Thyssen di cui, qualche giorno fa, ricorreva il 14° anniversario.

marco.bardesono@cronacaqui.it enrico.romanetto@cronacaqui.it
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