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Il Borghese

I misteri del Casinò di Saint Vincent: l'omicidio Caccia e quella "pax mafiosa" e gli 007

L'inchiesta che sta agitando la politica e quell'indagine del 2015 finita nel nulla sul procuratore ucciso

I misteri del Casinò di Saint Vincent: l'omicidio Caccia e quella "pax mafiosa" e gli 007

Riciclaggio di denaro al tavolo verde, la pallina della roulette che gira come una lavatrice di denaro sporco. Al Casinò di Saint Vincent c’è un film già visto, tra soldi in arrivo dall’estero e società di comodo che fanno false fatture. E la politica trema, come anni fa quando ci andò di mezzo quasi tutto il consiglio regionale - e poi il casinò fu considerato fallito - perché la Regione Valle d’Aosta è azionista al 99%.

Una storia travagliata, quella del casinò fondato nel 1947, al di là dei bilanci d’oro dell’ultimo periodo, con lunghe ombre proiettate dalle organizzazioni criminali, lunghe ombre di cui la più sinistra porta a un omicidio eccellente: quello del procuratore capo di Torino Bruno Caccia, assassinato vicino casa il 26 giugno del 1983. Omicidio di ‘ndrangheta, recitano le sentenze definitive. Ma la figlia del magistrato, Paola Caccia, reclama ancora giustizia a distanza di anni. «La morte di mio padre è legata alla sua ultima indagine» aveva detto tempo fa. Una indagine che riguardava proprio il casinò della Vallée.

Nel 2015 Paola Caccia e la famiglia del magistrato assassinato - unico caso di magistrato ucciso dalle mafie al nord - erano riusciti a far riaprire le indagini dalla Procura di Milano: c’erano due nomi appuntati nel fascicolo, ma poi l’inchiesta aveva preso la via del clan Belfiore di Torino e di suoi “collaboratori”, quindi senza approfondire.

Nei faldoni relativi al delitto, però, rimangono appunti per cui il delitto potrebbe essere collegato “all’inchiesta della procura di Torino del giugno del 1983” sul casinò di Saint Vincent”. In pratica, nel 1983 si ipotizzava che fungesse da “centrale di riciclaggio di denaro mafioso e di altri proventi dei sequestri di persona” in uno scenario inedito - e forse mai più verificatosi - che vedeva “la cooperazione di mafia siciliana, mafia calabrese, eversione ed apparati deviati”. E che i servizi "monitorassero" Caccia è stato rivelato, pochi mesi fa durante un convegno al Palagiustizia, dall'avvocato della famiglia.

Una cooperazione, se reale, mai più vista: una “pax mafiosa” funzionale all’economia di scala della macchina criminale, su cui Bruno Caccia aveva concentrato la sua attenzione di investigatore, commettendo forse l’errore di indagare da solo, tenendo per sé quei risultati? Le cosche sapevano che era «uno incorruttibile», ciò non di meno ai vertici più alti era stato deciso che occorresse intervenire.

Ma l’omicidio faceva parte del piano complessivo o fu l’iniziativa di un gruppo isolato, desideroso forse di mettersi in luce? Che fine ha fatto l’inchiesta del 2015? Rosso o nero, pari o dispari, manque o passé? La pallina della roulette gira ancora, ma spesso si ferma sullo zero degli “orfanelli”, orfanelli della verità. Una delle tante. Faites vos jeux...

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