l'editoriale
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12 Maggio 2022 - 08:39
Dicono che, in Oriente, quando inizia il freddo, le scimmie escano dalle foreste e raggiungano le città e i villaggi, si appostino lungo le strade, a ridosso delle case, come smarrite, indecise se chiedere aiuto e rifugio. Gli abitanti dei villaggi, allora, convinti che anche gli animali abbiano un’anima e che gli spiriti li guardino attraverso le scimmie, le aiutano a tornare nelle foreste. Il problema, nel caso, nasce se la scimmia non vuole farsi aiutare.
Ed è quello che accade a Fouquet, un giovane che si ritrova a Tigerville, in un paese della Normandia completamente fuori stagione, proprio come una scimmia in inverno. Ed è “Una scimmia in inverno” (Edizioni Settecolori, 20 euro, traduzione di Vittorio Viarengo) il titolo di un romanzo di Antoine Blondin, autore francese di cui ricorre il centenario dalla nascita, quasi sconosciuto in Italia e che troviamo grazie, come al solito, a un editore “indie”.
Fouquet è un giovane allo sbando, è pieno di alcol e di dolore per la fine del suo matrimonio e vaga nel piccolo paesino senza meta, senza parlare, inseguendo lo stordimento dell’alcol, tentando di osservare di nascosto la vita di suo figlia in collegio. Quentin, invece, è un uomo che ogni due notti ridiscende «con il suo letto-battello» il fiume della sua giovinezza di militare in Cina, un sogno ricorrente di un uomo che è stato e non è più, dopo la guerra, dopo lo sbarco degli alleati, dopo che ha smesso di bere. Lui è il padrone, con sua moglie Suzanne, della locanda dove Fouquet naufraga, letteralmente. E fra i due uomini comincia uno strano rapporto di mutua comprensione, di svelamento dei demoni (Fouquet vede il desiderio di bere in Quentin, lo incoraggia come demone tentatore, come il debole che chiede al forte di scendere nel suo stesso inferno), di amicizia virile e misteriosa, di prove di coraggio e follia, come la “corrida” con giacche come muletas a evitare le auto di passaggio.
Abitudini che furono dello stesso Blondin, una figura particolare di letterato francese, morto nel 1991, considerato troppo di destra o monarchico, ma perdonato per ogni eccesso e amato anche da Sartre e cantore epico di ciclismo, Blondin faceva parte - incastonato dai critici, a volerla dire tutta - degli Houssard, ossia gli Ussari, un movimento letterario che si opponeva agli esistenzialisti. Tanto gli esistenzialisti si sentivano ricercati e dominatori dell’ipotassi, tanto gli Ussari facevano a pezzi la lirica con frasi secche come uno sparo o il rumore di un bicchiere sbattuto sul tavolo. Eppure, nelle pagine di Blondin, non manca una lirica malinconica sia nei pensieri di Fouquet sia nei dialoghi tra Quentin e la moglie sia, ancora, nei discorsi all’osteria, una lirica sobria e sincera nelle parole dell’ebbrezza.
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