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Addio a "O Rei" Pelè, il Dio del calcio da 1000 gol e tre mondiali

pelè bambini
Ha dribblato tutto e tutti, tranne la morte. Così da ieri sera Pelé è consegnato per sempre alla storia, battuto dal cancro al colon contro il quale lottava da tempo. Era stato ricoverato alla fine di novembre all’ospedale Albert Einstein a San Paolo a causa di un peggioramento delle sue condizioni e si stava sottoponendo a cure palliative, ma ormai il suon fisico non rispondeva più nemmeno a quelle. Le immagini postate negli ultimi giorni sui social dalle figlie avevano commosso il mondo, ma non erano riuscite a cancellare l’idea di quanto stesse soffrendo. E con i suoi familiari al fianco, Edson Arantes do Nascimento se n’è andato. «Tutto ciò che siamo è grazie a te. Ti amiamo infinitamente. Riposa in pace», ha scritto subito su Instagram la figlia Kely, poco dopo che la notizia della morte aveva già fatto il giro del mondo. E nei giorni delle discussioni su chi sia stato più grande per l’Argentina, tra Messi e Maradona (che con gli anni di Pelé era diventato grande amico), chi ha una certa età sa che in realtà sul podio dei grandi di sempre c’è questo brasiliano dal fisico minuto e dalla classe purissima. Era nato il 23 ottobre del 1940 nel villaggio di Três Corações, nello stato meridionale del Minas Gerais. A cinque anni si trasferì con la famiglia a Bauru, un centro urbano nello stato di San Paolo, e poi a San Paolo per giocare con il Santos, squadra con cui esordì il campionato il 7 settembre 1956. Il suo nome di battesimo, Edson, fu voluto dal padre Dondinho che aveva giocato come centravanti con buoni risultati. Nel 1940 al suo paese per la prima volta era arrivata l’elettricità e quindi chi meglio di Thomas Alva Edison, l’inventore della lampadina, per battezzare il figlio? Più difficile invece capire l’origine del suo soprannome anche se la spiegazione più plausibile è legata agli anni del calcio giovanile. Con lui giocava in porta Bilè, nome che Edson storpiava in Pelé e così gli rimase appiccicato per la vita. Solo dettagli, perché lui era destinato a riscrivere la storia del calcio. Come il debutto ai Mondiali, quando non era ancora 18enne e in Svezia nel ’58 portò il Brasile per la prima volta sul tetto del mondo. Poi il Cile ’62 anche se per un infortunio non fu così decisivo, e soprattutto Messico ’70, quella finale che anche in Italia tutti ricordano benissimo. Tre mondiali vinti in carriera. Record. Ma quella era la miglior versione dei verdeoro mai vista nella storia, impossibile batterla specie se uno come lui segna pure di testa. Più di mille gol in carriera. In tutto 10 volte il Campionato paulista, 5 Coppe del Brasile, 2 Coppe Libertadores, 2 Coppe Intercontinentali prima di volare ai Cosmos per fare l’ambasciatore del calcio anche negli Usa fino al 1977 quando si ritirò. Da lì, solo leggenda. Addio O Rei, dio del calcio.
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