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Il caso

Tragedia di piazza San Carlo a Torino, la famiglia di Kelvin chiede risarcimento

Il bimbo, di origine cinese, si trovava in mezzo alla folla in preda al panico, quando migliaia di persone fuggivano in tutte le direzioni

Tragedia di piazza San Carlo a Torino, la famiglia di Kelvin chiede risarcimento

Kelvin, il bambino di 7 anni rimasto gravemente ferito durante la tragedia del 3 giugno 2017 in piazza San Carlo a Torino, è diventato uno dei simboli di quell’evento che sconvolse la città, causando due morti e oltre 1.500 feriti. Il bimbo, di origine cinese, si trovava in mezzo alla folla in preda al panico, quando migliaia di persone fuggivano in tutte le direzioni. Fu salvato da due persone - un italiano e un marocchino - che gli fecero da scudo, e successivamente preso in consegna da un poliziotto.
Nonostante il pronto intervento, Kelvin rimase ferito in modo grave e restò alcuni giorni in coma prima di essere dimesso dall’ospedale. A oltre otto anni dall’accaduto, è in via di definizione l’azione civile promossa dai suoi familiari per ottenere un indennizzo. A patrocinare gli interessi dei parenti del bambino sono gli avvocati dello studio legale torinese Ambrogio e Commodo, che negli anni hanno seguito almeno una mezza dozzina di cause analoghe. La citazione è stata inoltrata a più soggetti: il Comune di Torino, la Prefettura - in quanto emanazione del Ministero dell’Interno - l’Agenzia Turismo Torino, responsabile dell’organizzazione della serata in piazza, e l’architetto che si occupò della progettazione dell’evento. La tragedia ebbe origine durante la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid, seguita su maxi-schermo da decine di migliaia di persone. Verso la fine della partita scoppiarono ondate di panico a causa dello spray al peperoncino lanciato da una banda di rapinatori, secondo quanto accertato in seguito. L’evento ha inoltre evidenziato gravi lacune nella gestione e nell’organizzazione della serata, tanto che tra i procedimenti giudiziari successivi figurò anche l’architetto, che patteggiò la pena, e l’allora sindaca Chiara Appendino, condannata in appello bis. Oggi, la famiglia di Kelvin cerca un riconoscimento civile del dramma subito, mentre la vicenda rimane uno dei simboli più dolorosi della sicurezza negli eventi pubblici e della responsabilità delle istituzioni nell’organizzazione di manifestazioni di massa.

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