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Se "La buona novella" di De Andrè rivive sul palco con Neri Marcorè

Il connubio tra musica e teatro nella riscoperta di "La buona novella"

Se "La buona novella" di De Andrè rivive sul palco con Neri Marcorè

Neri Marcorè porta in scena "La buona novella"

Quando nel 1970 Fabrizio De André pubblicò il suo album “La buona novella” ricevette molte critiche. In epoca post sessantottina, infatti, venne accusato di non parlare dei cambiamenti sociali in atto, della rivoluzione. «Ma la sua risposta a queste critiche - dice Marcorè - fu che, siccome l’arte parla per metafore, lui parlava del più grande rivoluzionario di tutti i tempi, e quindi sì, quell’album parlava di rivoluzione».

Con la regia di Giorgio Gallione, Neri Marcorè porta a teatro il primo concept-album del cantautore genovese e lo fa con uno spettacolo pensato come una sorta di sacra rappresentazione dove le canzoni di De André si intrecciano ai brani dei Vangeli apocrifi. “La buona novella”, in scena questa sera, martedì 25 marzo, e in replica domani sera (sempre alle 20,30) al Teatro Colosseo di Torino, racconta la passione di Cristo vista dalla parte di Maria.

Un’opera polifonica, a più voci. C’è la voce di Maria, di Giuseppe, di Tito il ladrone, il coro delle madri, il popolo. Un’opera con cui si rinnova il sodalizio Gallione-Marcorè. «Con Neri Marcorè - dice il regista - abbiamo scandagliato per anni il teatro canzone di Gaber, e già ci confrontammo con i materiali di Faber in un altro spettacolo, “Quello che non ho”. Arrivare a “La buona novella” ci sembrava inevitabile».

E il racconto della passione fatto dalla parte di Maria, madre bambina straziata dal dolore che arriva a dire “non fossi stato figlio di Dio, ti avrei ancora per figlio mio”, aggiunge tragicità alla rappresentazione. «La buona novella - è ancora Gallione - non è solo un concerto, ma uno spettacolo originale, recitato, agito e cantato da una compagnia di attori, cantanti e musicisti che penseranno l’opera di De André come un ricchissimo patrimonio che può comunque ben resistere, come ogni capolavoro, anche all’assenza dell’impareggiabile interpretazione del suo creatore».

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