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Perché facciamo fatica a ricordare i sogni?

Lo studio della Scuola IMT Alti Studi di Lucca e dall'Università di Camerino, studia il processo per fissare i sogni nella memoria

Perché facciamo fatica a ricordare i sogni?

Se si effettua un veloce calcolo delle ore della nostra giornata, è circa un terzo della nostra vita che dedichiamo al sonno. Eppure, è molto difficile avere dei ricordi nitidi, o quanto meno vaghi, di questa esperienza parallela che viviamo ogni notte.

Anche quando ci svegliamo con la memoria di un sogno appena vissuto, basta iniziare le attività quotidiane per dimenticarlo completamente. Talvolta, il sogno ritorna alla mente se qualcosa durante la giornata lo richiama alla memoria. La capacità di ricordare con precisione alcuni sogni, mentre altri si perdono nella memoria, è un argomento che affascina da tempo gli studiosi del sonno e della memoria.

Sebbene la spiegazione esatta resti un mistero, esiste un ampio consenso scientifico sul fatto che tutte le persone sognano regolarmente. Coloro che affermano di non sognare, in realtà, tendono semplicemente a dimenticare i sogni più facilmente e velocemente. Diversi studi hanno evidenziato come il ricordo dei sogni sia più una questione di tempismo che di abilità. Anche coloro che sostengono di non ricordare mai i loro sogni sono in realtà in grado di farlo, se vengono svegliati al momento e nel modo appropriato. Questo momento coincide con il risveglio dalla fase di sonno REM, durante la quale i sogni sono più vividi e narrativi.

Secondo Robert Stickgold, professore di psichiatria alla Harvard Medical School e esperto in disturbi del sonno, è relativamente facile ricordare i sogni nei brevi intervalli in cui ci si sveglia, ad esempio, per esigenze fisiologiche. I sogni possono essere ricordati anche al mattino, ma è più probabile che ciò avvenga se il risveglio è lento e graduale.

Una ricerca condotta nel 2017 dal Centro di ricerca neuroscientifica di Lione ha esaminato il sonno di due gruppi distinti di individui: uno composto da soggetti che ricordavano i propri sogni quasi quotidianamente, e un altro da individui che raramente ne conservavano il ricordo. È emerso che il primo gruppo era caratterizzato da risvegli notturni più frequenti e duraturi, della durata di circa due minuti: un lasso di tempo sufficiente per trasferire l'esperienza onirica nella memoria

Come osserva Erin Wamsley, professoressa di psicologia e neuroscienze alla Furman University, "la mancanza di riposo è spesso associata a un maggiore ricordo dei propri sogni." Un recente studio, pubblicato a febbraio sulla rivista Communications Psychology e condotto dalla Scuola IMT Alti Studi di Lucca e dall'Università di Camerino, ha ulteriormente confermato l'importanza del momento del risveglio nella memoria dei sogni.

Oltre 200 partecipanti, di età compresa tra 18 e 70 anni, hanno registrato verbalmente i propri sogni per 15 giorni consecutivi immediatamente dopo il risveglio. I partecipanti dovevano riferire se ricordavano di aver sognato, o se percepivano di aver vissuto un sogno ma senza conservarne il ricordo, un fenomeno noto come "sogno bianco". I risultati hanno indicato che individui con risvegli prolungati di sonno leggero dopo fasi più profonde erano più propensi a ricordare i propri sogni, un fenomeno più frequente nei giovani rispetto agli anziani, che tendevano a vivere più sogni bianchi.

Tra i vari fattori emersi dallo studio, condotto tra il 2020 e il 2024, si evidenzia una certa variabilità stagionale: i ricordi onirici erano meno numerosi in inverno rispetto alla primavera e all'autunno, forse influenzati dai ritmi circadiani, ossia i cicli che regolano alcuni processi fisiologici. Inoltre, l'attitudine personale a sognare a occhi aperti si è rivelata determinante: coloro che tendono a fantasticare da svegli hanno avuto una maggiore probabilità di ricordare i propri sogni. Ciò suggerisce che sognare e fantasticare coinvolgano aree e funzioni cerebrali simili.

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