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Streaming e on-demand

La televisione dopo il palinsesto: come cambia il modo di guardare lo schermo

Dallo streaming agli eventi live, il pubblico sceglie cosa vedere e quando: la tv non scompare, ma perde il ruolo di guida e diventa esperienza su misura

La televisione dopo il palinsesto: come cambia il modo di guardare lo schermo

La televisione non è scomparsa. Ha semplicemente cambiato pelle. In silenzio, senza strappi evidenti, il mezzo che per decenni ha scandito le giornate degli italiani sta vivendo una trasformazione profonda, che riguarda le abitudini di consumo, i modelli economici e perfino il linguaggio dei contenuti.

Oggi, sempre meno spettatori si affidano ai palinsesti rigidi dei canali generalisti. Al loro posto avanzano lo streaming e l’on demand, che permettono di scegliere cosa guardare, quando e su quale dispositivo. Smartphone, tablet, computer e smart tv hanno reso lo schermo onnipresente e svincolato dal salotto di casa e dall’orologio. Non a caso, all’inizio del 2025 in Italia si contavano oltre 20,7 milioni di televisori connessi a Internet, segno di una fruizione sempre più orientata alla scelta individuale.

Eppure la televisione lineare resta, almeno per ora, il perno del sistema mediale nazionale. Il consumo medio quotidiano supera ancora le tre ore (3 ore e 17 minuti), soprattutto tra le fasce di pubblico più adulte. Fino a pochi anni fa, il palinsesto era una bussola quotidiana: il telegiornale a un’ora fissa, la prima serata del lunedì, il film del sabato. Oggi quella scansione del tempo appare sempre più anacronistica, in particolare per le generazioni più giovani, cresciute con l’idea che l’attesa sia un limite, non una regola.

Le piattaforme di streaming hanno intercettato e accelerato questo cambiamento. Cataloghi vasti, produzioni originali, stagioni complete disponibili in un’unica soluzione: il binge watching è diventato un comportamento comune, in aperta contrapposizione alla logica settimanale della tv tradizionale. Non si tratta solo di comodità, ma di una diversa concezione dell’intrattenimento, più personalizzata e meno mediata. A livello globale – e con effetti evidenti anche in Italia – il tempo trascorso sulle piattaforme streaming ha ormai superato quello dedicato alla tv broadcast e via cavo messe insieme. Il contenuto batte il canale, l’esperienza batte la programmazione.

Questo spostamento riguarda anche l’informazione. Il telegiornale resta un riferimento per una parte di pubblico, ma cresce il consumo di notizie on demand: clip brevi, approfondimenti tematici, podcast video. Il flusso lineare perde centralità a favore di contenuti modulari, facilmente condivisibili e accessibili attraverso social e piattaforme digitali.

Per i broadcaster storici la sfida è doppia. Da un lato devono difendere un pubblico che invecchia, dall’altro reinventarsi per non perdere rilevanza. Nascono così piattaforme proprietarie, canali digitali e offerte ibride che uniscono diretta e on demand. Un passaggio tutt’altro che indolore, soprattutto sul fronte economico: i modelli pubblicitari tradizionali faticano ad adattarsi a un ecosistema frammentato, dove l’attenzione è una risorsa scarsa e contesa.

Il declino del palinsesto non coincide però con la fine della televisione come esperienza collettiva. Anzi. Mentre complessivamente si vendono meno televisori, in otto anni le vendite di apparecchi con diagonale pari o superiore ai 70 pollici sono cresciute di quasi trenta volte. Il televisore resta al centro del soggiorno, ma con una funzione diversa: non più altare domestico della visione obbligata, bensì grande schermo su cui scegliere cosa vedere. Complice il crollo dei prezzi – anche grazie all’ingresso dei produttori cinesi – oggi un 70 pollici costa mediamente circa 1.500 euro ed è sempre più un oggetto d’arredo, quasi un quadro digitale.

Eventi sportivi, grandi show e appuntamenti in diretta continuano a catalizzare milioni di spettatori nello stesso momento. Campionati di calcio, grandi tornei di tennis, il Giro d’Italia, il Tour de France, le Olimpiadi – con Milano-Cortina sempre più vicine – restano esempi di una televisione che non è più abitudine, ma appuntamento. Lo stesso vale per il cinema: con finestre di distribuzione sempre più brevi, molti film vengono visti a casa, ma preferibilmente su uno schermo gigante piuttosto che su quello di uno smartphone.

Il vero cambiamento, però, è culturale prima ancora che tecnologico. Il pubblico non è più passivo: sceglie, interrompe, commenta, abbandona. La fedeltà a un canale lascia spazio alla fedeltà a un contenuto, a un genere, a una serie. Meno televisore acceso per inerzia, più streaming per decisione.

Il futuro dell’audiovisivo sembra, dunque, segnato da una convivenza asimmetrica. I palinsesti tradizionali continueranno a esistere, ma come una delle tante opzioni disponibili. Al centro non c’è più il canale, bensì lo spettatore. Ed è lui, con il telecomando – o più spesso con un touch screen – a decidere cosa merita davvero il suo tempo.

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