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STORIE

Giancarlo Giudice, il serial killer che ha segnato le periferie della città

Era un camionista che viveva in una casa modesta di via Cravero, zona Regio Parco

Giancarlo Giudice, il serial killer che ha segnato le periferie della città

Torino, fine anni ’80. Una città di fabbriche, periferie e storie mai raccontate del tutto, teatro di un incubo reale, un racconto di violenza che ha scavato nella sua memoria come una ferita aperta. La vicenda di Giancarlo Giudice, un nome apparentemente qualunque, un uomo qualunque, nasconde dietro il suo volto anonimo la storia di un serial killer che ha attraversato quella Torino nascosta, sporca e dimenticata. Giudice era un camionista, uno stacanovista che viveva nei quartieri periferici, in una casa modesta di via Cravero, zona Regio Parco. La sua vita ordinaria nascondeva un’ossessione nera che lo portò a spezzare la vita di almeno nove donne, tutte prostitute, spesso anziane e invisibili agli occhi di una città troppo impegnata a non vedere. La sua scia di morte comincia il 27 dicembre 1983, quando incontra Francesca Pecoraro, una quarantenne di origini siciliane, uccisa nella sua casa in strada Settimo. Il corpo viene poi nascosto nella sua Bianchina rubata, che viene data alle fiamme in via Enna, nella zona di Barriera di Stura. Solo nel 1986, grazie a un frammento di polpastrello, la polizia scientifica riuscirà a identificarla. Il primo dell’anno successivo, è la volta di Annunziata Pafundo, quarantottenne di origine lucana con un passato segnato dall’infanticidio, strangolata e abbandonata nuda nei pressi di Mezzi Stura, a Settimo Torinese. Il corpo viene ritrovato solo l’8 gennaio. Il 26 marzo 1984 Giudice tenta di uccidere Lidia Geraci, ventiquattrenne incontrata in corso Polonia. La donna, con tre figli da mantenere, riesce a convincerlo a risparmiarla. Ma la violenza non si arresta. Nel marzo 1985 strangola Giovanna Bricchi, costretta alla prostituzione a causa della tossicodipendenza del figlio, e getta il suo corpo nel Po. Poco dopo, accoltella alla gola Addolorata Benvenuto, quarantasettenne, il cui cadavere viene abbandonato nello Stura di Lanzo. Nel febbraio 1986, sul Lungo Dora Voghera, incontra due prostitute: sua zia Maria Rosa Corda, di 44 anni, e Laura Belmonte, sessantaseienne. Entrambe vengono strangolate con una calza nella camera da letto della casa dei genitori di Giudice. Dopo aver legato mani e piedi con fili elettrici, trasporta i cadaveri avvolti in una coperta e li getta in un canale tra Villareggia e Saluggia. Ad aprile dello stesso anno, uccide con un colpo a bruciapelo Maria Galfrè, quarantquattrenne, il cui corpo viene nascosto in una baracca lungo lo Stura di Lanzo, poi incendiata. Il 21 maggio 1986 strangola Clelia Mollo, cinquantottenne, con una calza di nylon nel suo appartamento di via XX Settembre, nel centro di Torino. La sua ultima vittima è Maria Rosa Paoli, trentaseienne, ex terrorista affiliata ai NAP, uccisa il 28 giugno 1986 a Rocchetta Tanaro con due colpi di pistola. Il corpo viene nascosto nella vegetazione a Cortiglione. Giudice venne arrestato quasi per caso poche ore dopo l’ultimo delitto, durante un controllo di routine. Nell’auto, una Fulvia coupé, la polizia trovò tracce di sangue, armi e un panno insanguinato. Il processo si tenne a Torino, e il 22 marzo 1989 la Corte d’Assise, presieduta da Vladimiro Zagrebelsky, lo condannò a 24 anni per ciascun delitto, traducendo la sentenza in ergastolo. La corte lo ritenne sano di mente, nonostante la richiesta di seminfermità avanzata dal pubblico ministero Francesco Saluzzo e dall’avvocato difensore Savino Bracco, che avevano chiesto una condanna a trent’anni. Giudice trascorse oltre vent’anni in carcere, fino alla scarcerazione nel 2008, quando si è perso nell’anonimato con una nuova identità, lasciando dietro di sé una scia di morte, dolore e silenzio.

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