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storia dei Social
27 Novembre 2024 - 04:30
C'era una volta un mondo digitale dove ogni utente cercava disperatamente la propria tribù virtuale, e i social network spuntavano come funghi dopo una pioggia autunnale. Alcuni di questi sono diventati giganti che oggi plasmano le nostre vite quotidiane, altri invece si sono rivelati meteore, brillando per un attimo prima di sparire nel buio.
Pochi hanno raggiunto l’Olimpo del successo come Facebook, Instagram o TikTok. Ma per ogni gigante che oggi domina la nostra vita digitale, ci sono decine di esperimenti falliti, sogni infranti e piattaforme dimenticate. Alcune erano troppo innovative per il loro tempo, altre semplicemente incapaci di evolversi. In questo viaggio ironico e riflessivo, esploreremo i più celebri "flop social" e cosa ci insegnano sulla nostra relazione con la tecnologia.
Negli anni '90, prima che "scrollare" diventasse un tic nervoso, c'erano piattaforme come GeoCities (1994), un precursore dei social network moderni. Era una sorta di "fai da te" del web, dove chiunque poteva costruire una pagina personale piena di gif animate e font improbabili. GeoCities era l’incarnazione dello spirito libero di Internet, ma la sua struttura anarchica si scontrava con la nascente esigenza di ordine e monetizzazione. Yahoo lo acquistò per 3,6 miliardi di dollari, ma l’idillio finì con la chiusura nel 2009, lasciando un vuoto che solo i nostalgici ricordano.
Poco dopo arrivò Friendster (2002), che per molti è considerato il primo vero social network moderno. Con Friendster, gli utenti potevano creare profili, aggiungere amici e condividere interessi. La piattaforma creò le basi per il concetto di “rete sociale” online, ma il suo destino fu segnato da gravi problemi tecnici. Il sito diventò così lento da risultare inutilizzabile e fu rapidamente superato da un concorrente più snello e affamato: MySpace.
MySpace (2003) è forse il fallimento più iconico nella storia dei social. Per un certo periodo, MySpace era sinonimo di "cool": musicisti e giovani di tutto il mondo lo usavano per connettersi e promuoversi. Il livello di personalizzazione era incredibile: potevi scegliere sfondi, musiche e layout che riflettevano la tua personalità. Tuttavia, proprio questa libertà si trasformò in caos: le pagine erano spesso troppo cariche, lente da caricare e visivamente confusive. Quando Facebook emerse con un design minimalista e una piattaforma più funzionale, il destino di MySpace fu segnato.
ORKUT
Un’altra storia curiosa è quella di Orkut (2004-2014), una piattaforma lanciata da Google che ebbe un enorme successo… ma solo in Brasile e India. Nonostante la sua popolarità in quei mercati, Orkut non riuscì a espandersi a livello globale e venne chiuso, lasciando il posto a nuovi esperimenti di Google come Google+, anch’esso destinato a fallire.
Se parliamo di visioni troppo ambiziose, Diaspora (2010) merita una menzione speciale. Nato come alternativa decentralizzata e “etica” a Facebook, Diaspora prometteva agli utenti il controllo totale sui propri dati. Era una risposta diretta alle crescenti preoccupazioni sulla privacy online, ma il progetto non decollò mai davvero. Il suo modello decentralizzato risultava troppo complesso per la maggior parte degli utenti, abituati a piattaforme più semplici.
Un altro caso emblematico è Vine (2013-2017), la piattaforma che ha introdotto i video brevi prima che diventassero il formato dominante. Vine conquistò un pubblico giovane con i suoi video di sei secondi, ma non riuscì a evolversi. La mancanza di strumenti di monetizzazione per i creator e l’arrivo di TikTok, che perfezionò l’idea con un algoritmo più potente e funzionalità avanzate, sancirono la sua fine.
GLI "STRANI" ESPRIMENTI
Yahoo Answers (2005-2021) non era propriamente un social network, ma incarnava lo spirito dell’interazione online dell’epoca. Gli utenti potevano porre domande su qualsiasi argomento e ricevere risposte dalla comunità. Era un mix di utilità e caos, con domande che spaziavano da "Come cucinare un uovo?" a "Gli alieni controllano il governo?". Col tempo, però, la piattaforma si trasformò in un meme vivente, con un calo di qualità delle risposte e una fuga degli utenti verso forum e Reddit. Yahoo Answers chiuse i battenti nel 2021, lasciandoci con una domanda: "Perché abbiamo smesso di divertirci così?"
Più di recente, Clubhouse (2020) è stato un fenomeno meteora. Lanciato durante la pandemia, questo social basato su chat audio e disponibile solo su app, sembrava destinato a rivoluzionare la comunicazione online. Tuttavia, la sua esclusività iniziale (solo su invito) e la rapida comparsa di concorrenti come Twitter Spaces e Spotify Greenroom ne hanno ridotto l’attrattiva. Clubhouse è ancora attivo, ma il suo momento di gloria è ormai passato.
Guardando indietro, l’uso dei social network nei primi anni 2000 appare quasi romantico. Erano luoghi dove costruire la propria identità digitale, spesso con fatica: bisognava scegliere template, colori, musiche di sottofondo. Oggi, invece, i social sono luoghi di consumo rapido: scrolliamo, mettiamo like e passiamo oltre. La personalizzazione è stata sostituita dall'algoritmo, che decide cosa dobbiamo vedere. Un’altra differenza significativa è l’evoluzione del linguaggio: se su MySpace si scrivevano post chilometrici pieni di emoticon, oggi regnano meme, reel e contenuti ultra-sintetici. I social del passato erano più lenti, riflessivi (nel senso che potevi davvero riflettere su cosa scrivere); quelli di oggi, invece, puntano sulla velocità e sull’impatto immediato.
I social network che non ce l’hanno fatta ci insegnano che il successo non dipende solo dall’innovazione, ma anche dalla capacità di adattarsi alle esigenze degli utenti. Facebook ha superato MySpace perché offriva un’esperienza più pulita e intuitiva; TikTok ha soppiantato Vine perché ha capito che sei secondi erano troppo pochi per raccontare una storia.
Ma forse la lezione più importante è che, come utenti, siamo tanto responsabili quanto le piattaforme. Ogni nostro click e interazione plasma il futuro dei social network. Forse è ora di chiederci: vogliamo essere creatori attivi o semplici consumatori passivi?
In fondo, se GeoCities, Friendster e MySpace ci guardano dall’aldilà digitale, un po’ si staranno prendendo gioco di noi: "Noi siamo spariti, ma voi siete ancora qui, a scrollare. Chi ha davvero perso?"
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