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Il caso

L'attivista racconta perché ha deciso di partire. "Scrivere Free Palestine" non va bene". Fermarci per Mattarella? Impensabile"

Abderrahmane Amajou, l'attivista di Bra 39enne, rientrato lunedì scorso in Italia dopo la detenzione nella prigione israeliana di Ashdod racconta l'esperienza: "Il ministro Ben-Gvir ci diceva che saremmo usciti quando voleva lui"

"Ho scelto di partire perché negli ultimi due anni è cambiato tantissimo. Si accede ad Instagram per caricare un selfie ma si viene sopraffatti dalle immagini delle stragi a Gaza", Abderrahmane Amajou, l'attivista di Bra 39enne, rientrato lunedì scorso in Italia dopo la detenzione nella prigione israeliana di Ashdod racconta in modo pacato e lucido la sua traversata di 18 giorni su Paola 1, barca a vela parte della missione umanitaria Global Sumud Flotilla.

"Ho pensato che se la Flotilla esiste è perché la politica ha perso", spiega questa mattina nella conferenza che si è tenuta all'interno della Sala Capigruppo di Palazzo civico. "Se le persone spingono per un cambiamento è perché la politica non è stata in grado. Ho pensato che la Flotilla potesse essere l'ago della bilancia".

Diciotto giorni di navigazione, poi i bombardamenti subacquei e "l'accompagnamento, fino alle 150 miglia marine. "Lì ci hanno tamponato sul lato sinistro e sono saliti a bordo", spiega Abderrahmane.

La permanenza ad Ashdod

In prigione, pur ammettendo che "avrebbero potuto fare tanto di peggio", l'attivista racconta il trattamento che gli era stato riservato. Privazione di farmaci e sonno. "Ogni due ore ci facevano scendere dal letto, inginocchiare con la scusa di contarci. Tra i 9 e 10 poliziotti in tenuta antisommossa con laser che puntavano a viso e cuore. L'unica acqua disponibile era di un rubinetto in un bagno piccolissimo. Hanno preso diversi passaporti deboli e messi in isolamento. A un ragazzo turco hanno rotto un braccio".

L'appello di Mattarella

"Ricordo che la Meloni diceva: la Flotilla ci sta mettendo in difficoltà. Ma la Flotilla non è solo italiana. Non poteva fermarsi per un appello del presidente della Repubblica. "Il 90% era per continuare ad andare avanti. Tutti gli altri dicevano di andare avanti. Gli altri ridevano quando gli dicevo che succedeva in Italia. La richiesta non è neanche mai arrivato al tavolo della Flotilla", dice Amajou.


La condanna dei cori

"Voglio dire ai giovani che hanno usato violenza: quello rovina la partecipazione in qualunque contesto. Non si risolve la questione palestinese con i cori insultanti ai poliziotti, che sono padri di famiglia. Bisogna essere consci del fatto che non è questo che cambia le cose", spiega Amajou. Allo stesso modo l'attivista si erge contro gli atti di vandalismo disseminati nelle ultime settimane per la città. Tra gli ultimi le Stelle di David con la scritta "Fuck" su una panchina del Parco del Valentino. "Scrivere "Free Palestine" sui muri non va bene. Bisogna rispettare i muri e rispettare anche i poliziotti che fanno il loro lavoro", afferma in modo risoluto Amajou.

L'Italia "poteva fare di più"

"L'Italia si poteva comportare meglio, oltre all'aereo charter, pagato dal governo greco, da Ashdod ad Atene, da lì la Farnesina non ha pagato. Hanno pagato le famiglie", sottolinea l'attivista.

"Israele ha chiesto alla nostra nave di andare via, infatti nella radio il capitano israeliano quando ci diceva di andare via, lo ribadiva "Andate via come ha fatto la vostra nave", ma era legittimo rimanere nelle acque territoriali internazionali con noi e spingersi anche oltre. Il nostro governo italiano finalmente, forse 5 giorni fa, ha stoppato per la prima volta l'invio di parti di meccaniche, di aerei, di cacciabombardieri, avrebbe dovuto farlo due anni fa. Il nostro governo italiano non avrebbe dovuto continuare a mandare armi in questi due anni soprattutto quando la Corte Penale Internazionale si è espressa su alcuni ministri come criminali di guerra. Quello doveva essere il momento in cui il Governo italiano avrebbe dovuto dire: "Ok, oltre non posso andare"", afferma ancora.

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