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Brutalizzato dall'orco. Soffocato in spiaggia. Daniele aveva 3 anni

Questa è la storia di uno dei delitti più atroci e crudeli mai avvenuti nel Salento. Una storia misteriosa e tragica, che neanche i quasi 24 anni trascorsi e l'oblio del tempo, da sempre panacea di ogni dolore, sono riusciti a cancellare. La storia di un bimbo di soli tre anni, Daniele Gravili, rapito, stuprato e lasciato agonizzante sulla spiaggia di Torre Chianca, come un pupazzo gettato via dopo un gioco perverso e crudele. Daniele apparve così, da lontano, al dodicenne che per primo si accorse della presenza di quel bimbo sulla sabbia, come un bambolotto abbandonato, disarticolato. Poi, vincendo l'orrore che gli stringeva il cuore, corse via a chiamare aiuto, urlando tutta la sua paura. Il primo ad accorrere fu un vigile del fuoco: si accorse subito che quel corpicino era esanime, ma era ancora vivo. Cercò in tutti i modi rianimarlo, praticando anche la respirazione bocca a bocca, mentre qualcun altro, accorso sul posto, chiamò i carabinieri e i soccorsi.

Erano le due di un pomeriggio di fine estate, ancora caldo e assolato. Era il 12 settembre 1992. Sul posto arrivò un'ambulanza, che trasportò d'urgenza Daniele in ospedale, dove morì la sera stessa, poco prima elle 22, senza mai riprendere conoscenza, soffocato dalla sabbia che gli era finita nei polmoni quando aveva cercato di resistere alla violenza del suo assassino.

Quella di Daniele Gravili è una storia che sembra venir fuori dalle favole, popolate da orchi e spiriti cattivi, dove i bimbi finiscono per essere sottoposti a ogni tipo di sevizia e violenza. Non si tratta però, di una fiaba, ma di un delitto, rimasto insoluto dopo più di due decenni. Daniele Gravili aveva solo tre anni. Era figlio di un'insegnante, cui era legatissimo, e di un autista. In quel tragico pomeriggio i genitori erano impegnati a preparare i bagagli, la stagione estiva era ormai finita. Il bimbo stava giocando da solo sul vialetto della casa, senza alcun timore di mamma e papà, poiché il cancello era chiuso. Lui, del resto, non si sarebbe mai allontanato da solo. Era talmente piccolo che non avrebbe mai potuto aprire da solo la serratura di quella casa. Pochi istanti di distrazione e Daniele scomparve.

Qualcuno aprì quel cancello, prese il bambino con sé e lo trascinò verso la spiaggia. Un tragitto lungo circa trecento metri, attraverso abitazioni occupate dagli ultimi vacanzieri, e il torpore della controra, quando il tempo sembra dilatarsi fino a scomparire.

Il mostro abusò di quella creatura innocente e la trascinò priva di sensi fin sulla riva. In spiaggia, a godere dell'ultimo sole di un settembre ancora caldo, c'erano una ventina di persone, ma nessuno vide nulla. Nessuno, nemmeno tra quelle case estive e quei cortili destinati ai giochi dei bambini e degli animali domestici, vide un uomo trascinare via un bambino.

È questa una delle peculiarità di questa vicenda, avvolta da una fitta cortina di omertà e silenzi, che nemmeno gli inquirenti sono riusciti a diradare. La vicenda del piccolo Daniele attraversa il substrato sociale di un Sud profondo e pieno di contraddizioni, in cui la verità sembra cambiar forma in ogni istante. Un viaggio a ritroso dentro il ventre di un Salento arcaico e di una terra che Sciascia avrebbe descritto proprio come la sua Sicilia: «Abbondante e povera, omertosa e pettegola, gioiosa e disperata. La terra del paradosso».


bardesono@cronacaqui.it

 
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