l'editoriale
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06 Marzo 2023 - 08:02
La signora dell’hotel Dora, prima di aprire, sporge la testa per vedere chi c’è. Nel piccolo atrio che fa da reception all’albergo a una stella si sente odore di moquette e di lacrimogeni. «Ieri qui davanti ne hanno sparati tanti. Se non fosse per uno dei miei clienti che si è accorto della baraonda ed è sceso a chiudere il portone, non so quanto gas ancora sarebbe entrato. Uno lo hanno sparato sul balcone del quinto piano. Ho sentito la cliente gridare, “chiudi, chiudi!” e ci siamo barricati dentro».
Il far west davanti al Sermig esplode sabato sera e sorprende molti commercianti di Borgo Dora, che a tutto sono abituati, tranne che alle battaglie a suon di bombe carta e lacrimogeni. Sabato sera il clou della guerriglia anarchica va di scena qui. Nel piazzale della pace, davanti a un alberghetto tranquillo, dove il giorno dopo si respira silenzio e si sente l’odore del pranzo casalingo cucinato al piano terra. Prima di arrivare qui, i mille anarchici «scortati dalla polizia» (l’espressione è di vari cittadini), attraversano Porta Palazzo - dove distruggono le vetrine della banca Intesa Sanpaolo - e prima ancora corso Regina Margherita, dove sparano schiuma isolante sui fili della cabina della Tim. L’obiettivo della questura, pare, sarebbe proprio questo: fare arrivare il corteo in zona Aurora, per fare sì che il centro non venga danneggiato. Ma per arrivare ad Aurora, da piazza Solferino, centinaia di incappucciati con passamontagna e maschere da nuoto spaccano vetrine, auto, pavé e pali di via della Consolata. Piazza Savoia è un tappeto di cocci di vetro. Qui, la fioraia, terrorizzata, rimane chiusa nella sua bottega da sola, per minuti interminabili. «I vigili mi avevano consigliato di chiudere prima - racconta - ma dovevo ricevere una consegna. Ho tirato giù la serranda, ma sentivo l’eco delle bombe e tonfi fortissimi riecheggiare nel locale. È stato terribile. Molti commercianti non sono stati avvisati, ma presi alla sprovvista».
È il caso dell’erborista della piazza, del titolare di Rochebobois, il negozio di arredi che ha tutte le vetrine in frantumi e del vicino Spazio Musa. Davanti, sulla stessa via della Consolata, c’è un bar, verso l’Ufficio di igiene. Sulle serrande, campeggia una scritta che rappresenta una firma: «Chi va col nucleare, impara a zoppicare». Sotto, la “A” di anarchia. La memoria va indietro di dieci anni, a quando Roberto Adinolfi, manager dell’Ansaldo nucleare, venne gambizzato a Genova. L’attentato fu rivendicato dalla Fai-Fri, Federazione anarchica informale e da Alfredo Cospito, che è detenuto (anche) per questo episodio e in nome del quale ieri hanno sfilato devastando tutto.
«Cosa c’entra il 41 bis di Cospito con lo spaccare i vetri di una libreria?» si chiede un residente di piazza Savoia, rivolto verso la San Paolo. L’obelisco è deturpato da un’enorme scritta: «No 41 bis». Pochi metri più avanti, c’è un palo della segnaletica divelto, forse usato come ariete per frantumare i vetri delle auto in sosta. A fianco, un mucchio di pietre sradicate dallo storico pavé. Sono alcune delle armi usate dagli incappucciati per spaccare molte auto nella piazza. «Erano soli, la polizia era davanti e dietro, ma sembrava che li lasciasse fare», dice un’anziana. Le fa eco una giovane mamma: «I miei bambini sono sconvolti. Piangevano, chiusi in camera, e pensavano che ci fosse la guerra». Nunzia e Manuelita, turiste di Gela, osservano i vetri spaccati di Roncato quasi all’angolo con via Garibaldi: «Che peccato vedere un centro così, manifestare è un diritto, ma perché questa violenza?». Alessandro, che vive in zona, esclama: «Hanno chiuso i centri sociali, e ora si sfogano così». «Ci sconvolge - commenta Alessandra, residente di piazza Arbarello - che ci fosse una marea di poliziotti che guardasse questi vandali devastare la Reale Mutua. Ero sul balcone con mio marito. Li ho contati. Erano sette. Si sono passati di mano il martello e la mazza. Hanno colpito con una furia cieca. Volevamo scendere noi, a bloccarli, visto che nessuno lo faceva». Il commesso di Roncato è ancora sotto shock: «Quando hanno visto che eravamo barricati dentro, hanno colpito ancora più forte. Ci siamo nascosti in bagno». La signora Luigia, ieri mattina, accorre di proposito, con i parenti, a vedere di persona cos’è successo alla banca: «Vengo dal Sud Italia, vivo a Torino da 50 anni e non abito in questo quartiere. Ma ho una rabbia incredibile. Questi danni adesso, li devono pagare loro, i responsabili. E se i poliziotti sono pochi, che ne assumano. Rimettano l’obbligo di leva. C’è tanta gente che ha bisogno di lavorare e noi abbiamo paura. Chi ci difende, se no?».
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