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Papà, ci porti ai baracconi?

montagne russe dp Low angle shot of a roller coaster ride with a cloudy sky in the background

Depositphotos

Su Facebook mi è passata sott’occhio una foto in bianco e nero delle giostre in piazza Vittorio. Quand’ero gagno le chiamavamo ancora “i baracconi”. Erano il simbolo visibile del carnevale fin da metà ‘800, e lo furono ancora nel dopoguerra fino al 1986, quando le spostarono alla Pellerina. I primi ricordi che ne ho risalgono agli ultimi anni ‘40, quando facevo l’asilo. Alcune giostre erano un po’ vintage (la donna-pesce, i seggiolini volanti, le montagne russe, il tiro alle tòle con palle di pezza), ma c’erano anche già le autopiste dei Piccaluga e soprattutto l’attrazione più attesa: l’ottovolante dei Manfredini, a bordo Po, lato Vanchiglia. Mio padre mi ci faceva fare un giro, ma tenendomi stretto fra ginocchia e braccia, perché avevo paura. Una volta mi portò su un’altra giostra, alta alta, che terminava con uno scivolo di alluminio a spirale, simile a quelli che si trovano negli acquapark. Percorso breve, ma in forte pendenza, quanto bastava a bloccare un gagno di tre anni come me. Papà mi incitava, ma io tremavo. Ricordo ancora oggi quel terrore. Mi misi a piangere, e allora lui mi prese in braccio, mi sistemò sulla sua pancia e venne giù. Fu così emozionante che chiesi di farlo ancora, ma lui disse “va bene, però stavolta devi scendere da solo”. Tornammo su, mi sporsi, guardai papà. Lui scosse la testa. Dovevo proprio andare da solo. Prima che lo spavento mi bloccasse mi spinsi avanti e partii. Pochi secondi dopo ero sul materassone in basso, felice come se avessi vinto chissà cosa. Grazie a mio padre avevo fatto un piccolo, grande passo verso il coraggio. Lui sorrideva. Forse si sentiva come un’aquila che ha spinto l’aquilotto fuor dal nido per il primo volo. collino@cronacaqui.it
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