La scimmia viva a tavola

Un caro fratello in goliardia, ex Pontefice e nobile di antica casata sabauda, mi invita a cena nel suo attico con vista spettacolosa sulle Alpi. Ospitalità eccelsa. Guest book rilegato in cuoio, tovaglia in lino grezzo ricamato a mano, sottopiatti in cristallo con lo stemma di Casa inciso a sabbia.

Siamo in dieci a tavola, con una siepe di calici davanti al piatto e un grande candelabro d’argento a quattro bracci acceso al centro. La serata fila via tra dotti conversari, battute spiritose e complimenti ai cuochi. Dopo il caffè e i liquori partono anche i canti. Eppure… avverto un impalpabile senso di disagio.

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Amo fraternamente il padrone di casa, ma non quello stile di vita. Trovo strano che viva così un goliardo, e lui lo è stato e lo è, non ho dubbi. Al suo matrimonio gli avevo anche fatto uno scherzo, rimasto famoso: al banchetto (super elegante) ci eravamo presentati, noi tre pontefici prima di lui, vestiti da clochards, con tanto di barbe finte e abiti luridi, portandoci dietro due barboni veri e una scimmia viva.

Avevamo mangiato nelle tòle vuote dei pelati Cirio, ruttando e dicendone di tutti i colori. Lui, anziché prendersela, si era divertito e aveva fatto casino con noi. Ma avevamo vent’anni. La vita, poi, ha preso strade diverse. Comunque il piatto più prezioso della serata è l’accurata perfezione di tutto (‘corretta’ da quel tocco di cordialità e semplicità che trasforma l’arida correttezza formale in vera eleganza), cioè il ‘sacro’ fatto apposta per essere dissacrato.

Come fai a goderti il pollo mangiato con le mani se prima non sei stato costretto ad armeggiarci sopra con le posate? Mi basta pensarci e il disagio si scioglie. Resta solo gratitudine.