Robot da chiodi

Si fa un gran parlare dell’Intelligenza Artificiale (IA), che impara da sola e si evolve lavorando. Il terrore che la cibernetica possa un giorno ritorcersi contro l’uomo nasce nell’ultimo dopoguerra, ma inizialmente si pensava che la logica della IA fosse destinata a soccombere di fronte alla fantasia e alla capacità d’improvvisazione dell’uomo.

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Le sue iniziali sconfitte a scacchi contro i campioni del momento parevano confermarlo, ma siccome la IA impara dai suoi errori, alla fine ha vinto, ed ora è campionessa mondiale indiscussa di scacchi. Ci hanno già fatto una decina di film, su questa ipotetica ribellione. I più noti sono “2001 Odissea nello spazio” del 1968 e “Blade Runner” del 1982.

Ma, a parte queste inquietanti prospettive fantascientifiche, la IA ha già debuttato in rete con quella Chat GPT che tanto preoccupa noi giornalisti perché è in grado, a richiesta, di comporre subito e gratis un pezzo di qualsiasi lunghezza su qualsiasi argomento. Nella Curia milanese, come conferma l’arcivescovo Delpini, i preti la usano già a man bassa per le omelie. Io però l’ho provata, ed ho scoperto con sollievo che anche lei ha un suo stile.

E’ riconoscibile, per chi è abituato alla lettura. E infatti la si smaschera subito in molti articoli presenti sui Web media. Poi magari finirà come negli scacchi, ma per il momento questa piattezza letteraria della IA mi rassicura. Ogni scrittore ha un suo stile peculiare, lo si sa, così come ogni interprete musicale. L’orecchio fine sa riconoscere un pezzo di Montanelli da uno di Scalfari, o un brano di Chopin suonato da Horowitz o da Pollini.

La IA lo suonerebbe come un pianoforte a rulli, e scrive nello stesso modo. Per ora. Poi vedremo.