Laurea in barbera e bagna caoda

Ieri mattina sono andato a Pollenzo (Bra) con tutta la famiglia per assistere alla laurea magistrale di mio nipote Leonardo. Si è addottorato in un Ateneo fondato da Carlin Petrini solo nel 2004, ma già prestigioso nel suo settore: la UNISG, Università di Scienze Gastronomiche.

Vi si diventa manager in food and beverage tramite master in “cibo e salute” o due tipi di laurea: la triennale (dottore in “scienze e culture gastronomiche”) e la magistrale (“graduate degree in food innovation and management”). Devo usare tutto quest’inglese perché lì si studiano e si danno gli esami in questa lingua. Il Rettore in Aula Magna ha parlato in inglese, anche se poi ha spiegato che tale scelta serve ad attrarre gli studenti stranieri.

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E in effetti insieme a Leo si sono laureati neri, arabi, iraniani, inglesi, americani, di tutto e di più. È il domani che avanza. Anche nella scenografia: l’UNISG per il rito della proclamazione ti presta gratis (e vorrei ben vedere: costa 10mila euro l’anno, più della Bocconi) mantello e tocco neri, come nei colleges inglesi.

Tutto pulito e perfetto, alla cerimonia. Zero casino. La goliardia, coi suoi allegri schiamazzi post-laurea nei cortili degli atenei, le damigiane di vino offerte ai filistei, i papiri di laurea attaccati ai muri, i calci in culo simbolici, il “canto della mosca” e i cori “dottore del buco del…” è totalmente sconosciuta, a Pollenzo.

Faceva un po’ malinconia vedere tutti quei neodottori indaffarati tra foto e complimenti, senza canti né scherzi, manco al ristorante, dopo. È proprio una generazione seria. Forse perché, a differenza della nostra, sa quel che lascia, ma non quel che troverà.