Morire d’Amazon

Ormai i giornali lo danno per certo: chiude l’ebreo. Sì, lui, il libraio sotto la Galleria Subalpina con l’insegna “la casa del libro”, quello dove almeno tre generazioni di studenti sono andate a vendere e comprare i libri scolastici usati.

Per un po’ c’è stato il cartello “chiuso per inventario”, ma adesso non c’è più e la porta non riapre. Dicono stia vendendo gli ultimi libri on line. Consegna i figli all’orco. A quella rete ingorda e impersonale che sta uccidendo tutte le librerie. Ingorda, impersonale, arida, inodore: questa è Internet. Questo è Amazon.

Powered by

Il contrario della “casa del libro”, entrando nella quale (dinn!) godevi già solo nel sentir l’odore di buona carta antica, quell’odore che i bibliofili riconoscono e amano come i cani quello del padrone. Luce fioca. Spazio essenziale (solo tre metri quadri per i clienti) arredamento spartano (due stretti banchi in legno messi a elle) e misterioso (il retro, vietato ma visibile, fatto di angusti corridoi con migliaia di libri fino ai soffitti).

A servire, solo il padrone e un aiuto: d’autunno c’era la fila fuori, in galleria, fino all’angolo di Baratti. Pagava poco (per questo era chiamato ‘ebreo’ l’ingegner Pisani), ma comprava tutto. Noi studenti, che fra una lezione e l’altra bivaccavamo al baretto di Rino, in via Carlo Alberto davanti al portone di Palazzo Campana, dovevamo tener d’occhio i libri perché c’era chi li fotteva, attraversava la piazza e li vendeva all’ebreo per pochi spicci.

Comunque era magico vedere come, senza cataloghi o Pc, lui sapesse a memoria cosa aveva e cosa no. Chiedevi un titolo? O scuoteva la testa o spariva nel retro e tornava col libro. Silenzioso e gentile. Con quel negozio scompare una perla di Torino.