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BUONANOTTE
03 Maggio 2023 - 06:30
Ci sono usanze del passato che mi piacerebbe tornassero. Come la severità verso i debitori insolventi, esemplificata dall’obbligo per i falliti di sedersi a culo nudo su una pietra ai piedi della torre comunale perché fossero visti da tutti. Questa ‘pietra della vergogna’ era temuta come la ‘pittima’.
Pittima (dal greco “epithema”, posto sopra) significa dapprima impacco, impiastro, cataplasma di vino bollente e aromi che un tempo si applicava sul cuore, o sul fegato, o sullo stomaco, a scopo terapeutico. Poi, per estensione, il termine è passato a indicare una persona fastidiosa, che irrita con le sue insistenze e le sue lamentele. È la descrizione precisa dell’espediente anti-morosi che ha funzionato per secoli.
La ‘pittima’ era un tale che, ufficialmente incaricato e tutto vestito di rosso, tallonava il debitore moroso dappertutto, giorno e notte, additandolo ad alta voce ed elencando le sue insolvenze, finché costui cedeva per sfinimento e pagava. A Venezia ‘la pitima’ era una figura istituzionale della Repubblica, e al debitore pedinato era assolutamente vietato toccarla, pena la prigione immediata.
A Napoli e Genova, a parità di intoccabilità, era un servizio privato, e il pedinatore riceveva una percentuale sulla somma recuperata. Oggi non si potrebbe più farlo. Siamo diventati garantisti al mille per cento. È vietato persino pedinare e filmare le rom che borseggiano o cacciare chi ti ha occupato abusivamente la casa. Una pittima oggi si beccherebbe una condanna per diffamazione e stalking.
Nessuno è tutelato meglio dei ladri e dei debitori insolventi (ladri anch’essi). Ecco perché proliferano e sono sempre più spavaldi. Se ne fregherebbero anche della pittima.
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