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Il caso
15 Dicembre 2023 - 18:11
Foto di repertorio
Antonio e Giulia non si sono mai separati ma non vanno d'accordo da anni. Lei gli rinfacciava soprattutto i comportamenti con la loro bambina, Emma (i nomi sono tutti di fantasia). Arrivando a denunciarlo per sottrazione di persona incapace e violazione degli obblighi di assistenza familiare, con l’accusa di non aver contribuito nel corso degli anni a garantire i mezzi di sussistenza necessari per la figlia.
Per questo sono partiti processi, arrivati fino alla Corte d'appello. Che ha condannato l’uomo per la “sottrazione” ma lo ha assolto anche in considerazione del fatto che la donna «ha un contratto a tempo indeterminato e guadagna 1.800 euro al mese: è abbastanza per lei e la figlia».
Antonio e Giulia sono sposati da anni e hanno avuto anche la piccola Emma. Poi i rapporti si sono deteriorati ed è scattata la denuncia e l'indagine per sottrazione di minore, con la bimba recuperata a scuola e trattenuta all’insaputa della madre. Giulia ha anche denunciato Antonio per violazione degli obblighi di assistenza familiare, doppia accusa che ha portato a un processo concluso nel 2020 in primo grado: l’uomo è stato condannato in primo grado per entrambi i reati ma non si è arreso e, assistito dall'avvocato Franco Catanzariti, ha fatto ricorso alla Corte d'Appello. Che di recente ha ribaltato parte della sentenza confermando la condanna del papà solo per uno degli episodi di sottrazione e assolvendolo per la violazione degli obblighi di assistenza: «L'imputato si è sempre dichiarato disponibile a contribuire al mantenimento della figlia e ha versato somme cospicue, intestandole buoni fruttiferi postali - si legge ancora nella sentenza firmata dalla Terza Sezione della Corte di Appello di Torino - Ma si è opposto alle pretese della moglie, arroccata su posizioni che sembrano privilegiare i suoi interessi».
A spingere per questa decisione, una sentenza della Corte di Cassazione del 2022 citata anche dai giudici torinesi: «La ratio di quella sentenza è valutare se l'inadempienza di uno dei genitori provochi lo stato d'indigenza dell'altro e quindi una situazione di bisogno per il minore. Se viene dimostrato che questo non è avvenuto, allora non si può configurare il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare».
Tradotto, se i coniugi non sono legalmente separati e la mamma guadagna abbastanza per far vivere dignitosamente i figli, il papà non è colpevole per non aver contribuito a garantire i mezzi di sussistenza necessari ai bambini: secondo la Corte d'Appello di Torino, il caso di Giulia, Emma e Antonio rientra in questo caso. «Lo stipendio della madre e i beni di cui dispone dimostrano che la sua situazione economica non è affatto precaria - concludono i giudici - D'altro canto lui ha dimostrato di non volersi sottrarre ai suoi compiti, quindi dev'essere assolto perchè il fatto non sussiste».
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