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Il commento
22 Gennaio 2024 - 13:16
Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia
Si dice , specie da parte dell’opposizione, che molti provvedimenti del governo a guida FdI siano ideologici. Il più delle volte tali accuse, dettate dal normale confronto politico tra maggioranza e minoranza, sono solo propaganda. Altre volte talune iniziative, determinazioni o disegni di legge hanno una chiara impronta identitaria del partito di maggioranza relativa di cui è presidente la premier Giorgia Meloni. Potrebbero farsi molteplici esempi. Dalla grande riforma costituzionale riguardante la figura e i poteri del Presidente del Consiglio dei ministri , il cosiddetto Premierato, all’utilizzo frequente della golden share per la tutela delle aziende nazionali, l’esaltazione e la salvaguardia del Made in Italy e dei suoi prodotti industriali e agricoli, la difesa degli interessi nazionali in Europa e nel mondo e così via. Tutto questo, visto il costante altissimo gradimento rilevato da tutti i sondaggisti, di cui gode la premier con il suo partito, gli Italiani lo apprezzano e probabilmente lo aspettavano da moltissimo tempo.
GIORGIA MELONI
Certo i tempi sono tremendi. L’eredità del mastodontico debito pubblico aggravato e aumentato dall’insipienza dei governi precedenti, la guerra in Ucraina che ha determinato una crisi energetica gravissima ed ha scatenato una spaventosa tempesta inflazionistica con l’impoverimento delle classi più deboli , quelle dei lavoratori dipendenti e dei pensionati ,non stanno rendendo la vita facile al governo Meloni. Sicuramente la peggiore bomba economica è stata ereditata dal governo Conte : l’ormai famigerato Superbonus 110 %.Questo avrebbe dovuto avere una incidenza sui conti pubblici di una quarantina di miliardi ne sta costando circa cento (di miliardi) in più. La follia grillina del “tutto gratis”, messa in atto nel momento di emergenza covid, quando anche l’Europa non mise limiti alla spesa, ha determinato una voragine nella voragine la cui eredità non sta consentendo di effettuare una politica economica espansiva ma di tagli dolorosi. Il Superbonus 110% , peraltro introdotto con norme raffazzonate e cervellotiche ,oltre alle truffe miliardarie di cui è stato strumento, oltre a far impennare i costi dei materiali e dei servizi nell’edilizia con la fola del “tutto gratis” è stata di fatto una misura di cui hanno beneficiato soprattutto i ricchi. Sono stati ristrutturati in massima parte ville e castelli, case in campagna, al mare o in montagna , condomìni e stabili di lusso.
L'ILVA DI TARANTO
Qui sono finiti larga parte dei fondi del Superbonus 110 %. Una delle prime mosse del governo Meloni , ovviamente, è stata quella di frenare questa insensata emorragia, portando il fatidico 110 % nel 2023 al 90% e dal gennaio 2024 al 70%, con regole molto più stringenti anche sul piano fiscale. Ma malgrado questi sforzi per rimediare alle spensierate follie demagogiche dei governi grillini , giallo- verdi poi giallo-rossi , per far quadrare i conti mancano all’appello oltre venti miliardi. Il governo li sta disperatamente cercando per non seguire la strada di un ulteriore aumento del debito pubblico, peraltro preclusa dalla commissione europea e dalla linea di discontinuità, rispetto ai precedenti esecutivi , che la premier sta percorrendo.
Le cronache e i resoconti politici riportano che il MEF (ministero dell’ economia e finanze) abbia intenzione di mettere sul mercato quote,s eppur di minoranza, delle nostre più importanti aziende di stato. Quei gioielli di famiglia degli italiani ancora rimasti in mano pubblica, dopo le vergognose svendite ,eufemisticamente chiamate privatizzazioni, fatte negli anni anni ’90 , delle aziende industriali, agroalimentari, bancarie e di servizi dello stato. Ora sembrerebbe si voglia mettere mano ad una nuova parziale mini privatizzazione per trovare quei 20 miliardi di euro necessari a tamponare con urgenza la falla nei conti pubblici e rispettare l’impegno di bilancio. E Giorgia Meloni cosa fa ? Sull’argomento tace . Forse i suoi consiglieri economici stanno cercando di convincerla che l’unica via sia quella di vendere quote dell’Eni, delle Ferrovie dello stato ,delle Poste , della rete dei trasmettitori Rai, di Terna, di Leonardo, e chissà di quali altre aziende pubbliche.
Con l’incoraggiamento di ambienti economico-finanziari che già chiedevano l’adesione al MES e vicini all’opposizione. Tale soluzione ,qualora fosse adottata, andrebbe nella direzione opposta alle posizioni e alle iniziative identitarie fino ad oggi poco sbandierate ma caparbiamente percorse. Come la rinazionalizzazione di NetCo (la società che incorporerà la rete Tim ma non i servizi) scorporandola dal fantasma erede della vecchia grande Telecom Italia ,privatizzata e poi spolpata dai “capitani coraggiosi” amici di D’Alema. Autostrade, ritornate statali dopo la tragedia del ponte Morandi ,le acciaierie di Taranto che saranno rinazionalizzate, dopo essere state spossate dai padroni indiani e dalla pochezza della vecchia politica locale e nazionale.
Insomma la storia e la cultura politica di provenienza di Giorgia Meloni è sempre stata contro il capitalismo predatorio e per la crescita e lo sviluppo moderno anche di aziende pubbliche che meglio possano garantire l’interesse nazionale, cioè quello di tutti gli italiani, di ogni classe sociale. Questa è la cifra identitaria che le viene riconosciuta ,non certo quella di un liberismo sensibile ,più che altro ,ai meramente privatistici indici di borsa. Gli impegni di bilancio vanno onorati ,ma cerchi di resistere ai consigli ma anche a talune pressioni che arrivano dagli alleati e trovi soluzioni che possono essere giuste e veloci come chiedere un contributo ,assolutamente risibile per loro, a chi detiene enormi patrimoni mobiliari, senza toccare quelli immobiliari. O aumentare le tasse di successione ,oggi risibili, solo per i grandi patrimoni. E’ solo una modesta proposta per prevenire.
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