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IL REPORTAGE

La mappa della prostituzione di Torino: le loro storie, i controlli e l'aiuto dei volontari

Viaggio lungo i viali e i parchi come la Pellerina: chi sono, quante sono e come lavorano le (poche) squillo rimaste

La mappa della prostituzione di Torino: le loro storie, i controlli e l'aiuto dei volontari

Basta girare l’angolo. E una macchia di colore attira l’occhio: un ombrello rosso vivo, la gonna di un rosa intenso, capelli biondo platino. Allargando lo sguardo, si capisce subito perché quelle donne stiano lì ferme: sono prostitute, donne o trans. Pronte a vendere il loro corpo. O costrette, a seconda dei casi. Decine di donne e uomini che di notte scendono nelle strade di Torino per guadagnare qualche soldo nonostante la concorrenza di Internet: «Il prezzo? 30 euro in macchina e 50 a casa» rispondono tutte quelle con cui abbiamo parlato.

Il blitz della polizia

L’occasione del reportage è un blitz anti prostituzione del Commissariato San Donato, organizzato un paio di notti fa in uno dei quartieri più toccati dal fenomeno.
Basta fare un giro intorno al parco della Pellerina: durante i controlli, i poliziotti trovano Patrizia davanti al chiosco della Tana del Lupo. La trans di origine brasiliana è decisamente scocciata all’idea di essere “disturbata” dagli agenti. Anche perché non ha i documenti e per questo viene trasportata in Questura per accertamenti: la prostituzione è una zona grigia del diritto, la polizia non può arrestare o mandare vie queste donne. Possono solo indagare in cerca di sfruttatori o contestare violazioni in materia di immigrazione, visto che spesso si tratta di straniere.

La conferma arriva se si percorre corso Appio Claudio e ci si guarda attorno. All’angolo con corso Lecce c’è Haraba, signora marocchina che ha 60 anni e lavora lì da 15. Poco più in là si incontra Carla, trans nata in Perù come Carlos: è davanti al civico 114 di corso Svizzera, in quello che in gergo poliziesco è stato ribattezzato il “palazzo dei trans”. A quanto pare, ci vivono in parecchi, tutti regolarmente. Ma in commissariato arrivano spesso denunce per schiamazzi e risse. Anche Carla abita lì: attira i clienti in strada ma lavora nell’appartamento al piano rialzato, dove vive con il marito italiano: «Esistono delle reti organizzate ma spesso le prostitute sono sfruttate dai “lover boy”, cioè i loro fidanzati» segnala Paolo Botti, presidente dell’associazione Amici di Lazzaro. «Non è il mio caso - assicura Carla - Mio marito mi mantiene, sono io che cerco di fare qualche soldo in più».

L'aiuto dei volontari

Gli Amici di Lazzaro lavorano da 25 anni in questo ambito: «Siamo nati per dare un aiuto ai senzatetto, poi ci siamo specializzati nella lotta alla tratta delle donne - spiega Botti - Andiamo a cercarle e le offriamo sostegno economico, lavorativo e scolastico, aiutandole anche a imparare l’italiano».
Qual è oggi la mappa della prostituzione a Torino? «In città ci sono poche ragazze africane mentre sono tante quelle dell’Est, soprattutto albanesi sfruttate dai fidanzati. In generale sono donne fragili con problemi economici: si trovano nei parchi o lungo le strade, come via De Santis. A Porta Nuova ci sono le magrebine mentre il centro, tra via Ormea e via Giuria, è più “misto”. C’è anche qualche italiana, per lo più anziane o tossicodipendenti».

Botti stima un calo negli ultimi anni: «Prima della pandemia, in strada ce n’erano 200. Oggi se ne contano circa 50. Colpa della concorrenza di internet e del gioco d’azzardo: oggi la gente spende di più lì».

La storia di Carlos e Haraba

Hanno le loro regole, che si sono imposte per questioni di sicurezza e di tradizioni. E i loro sogni: «Mi prostituisco per mantenermi e mandare i soldi ai miei genitori. Ma, se trovo un altro lavoro, smetto subito». Parola di Haraba e Carla, che ci hanno raccontato le loro vite sulle strade torinesi poco dopo essere state controllate dai poliziotti. Una è una 60enne marocchina, l’altra è una trans di 45 anni che arriva dal Perù: due storie diverse, con lo stesso epilogo. La prostituzione.

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«Io sono qui da 15 anni, ora dovrei andare in pensione - ride di gusto Haraba, che poi elenca le regole che si è imposta da sola - Non lavoro durante il Ramadan, non vado senza “guanto” e con chi ha una faccia che non mi convince. Ho paura, in passato ho subito anche delle aggressioni: un nero mi ha caricato, mi ha aggredita e poi mi ha strappato bracciali, anelli e orecchini. Erano le 2 di notte, mi sono buttata dalla macchina per scappare».

Chi sono i clienti abituali? «Ci sono tutte le razze ma io non vado con i neri, gli albanesi e i miei paesani». Quanto si guadagna? «Una volta si arrivava anche a 1.500 euro al mese. Ora è più difficile». La “tariffa” è standard: 30 euro in macchina, 50 a casa mia. La stessa che annuncia Carlos alias Carla, la trans che lavora a poche centinaia di metri da Haraba: «Ma ultimamente c’è davvero poco lavoro. Forse è perché siamo in tanti: solo qui intorno ci sono una decina di trans, più giovani e belle di me. Ognuna fa il suo ma probabilmente ci togliamo i clienti a vicenda». La 45enne peruviana si “offre” sotto casa in corso Svizzera 114, a due passi da corso Regina Margherita. Quando arrivano gli agenti a controllarla, sale al piano rialzato a mostrare il documento. Poi torna al suo posto. D’altronde vorrebbe smettere ma non può: «Mio marito fa il decoratore e mi dà da mangiare, io lavoro per guadagnare qualcosa e spedirlo in Perù. Mamma e papà hanno più di 80 anni e devo aiutarli a comprarsi le medicine. In famiglia siamo nove fratelli ma solo io e un altro mandiamo soldi: pure lui è trans, i miei genitori lo sanno».

Anche la 60enne Haraba ammette che vorrebbe cambiare vita: «Quando sono arrivata in Italia, nel 2000, lavoravo nei ristoranti. Poi non so cos’ha combinato il titolare ma so che lo hanno arrestato e rispedito al Paese. E io ho potuto fare altro che venire sulla strada: adesso sono vecchia, vorrei smettere». Poi la signora marocchina mostra la foto della nipote di 24 anni: «Presto mi raggiungerà a Torino ma vorrei che facesse la cameriera o la badante». Spera in futuro diverso anche Carla: «Non faccio questo lavoro perché mi piace ma perché non ho scelta. Ora sono vecchia e stanca. Vorrei studiare bene l’italiano e cercare un altro lavoro».

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