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Editoria e giornali
02 Giugno 2024 - 09:43
Il quotidiano subalpino ereditato dagli Elkann è diventato, negli ultimi tempi, un foglio militante contro il governo. Una volta si pregiava di grandi direttori - solo per citarne due, Arrigo Levi e Alberto Ronchey che fu anche ministro dei beni culturali - e la linea editoriale, nel solco della tradizione azionista torinese, era chiara. La dettava l’Avvocato, o meglio si narrava venisse interpretata, perché non era fine per uno charmant come lui apparire come chi la imponeva. Piccole ipocrisie, ma a Gianni Agnelli stava bene così. Ca va sans dire che perseguisse gli interessi della Fiat. E il governo, di qualunque colore fosse, non era il nemico da combattere e abbattere, ma il principale interlocutore secondo la diceria, falsa ma efficace, che perseguire gli interessi della Fiat fosse davvero fare gli interessi dell’Italia.

Andrea Malaguti
Pur legittimamente, i giornalisti erano tenacemente impegnati a raggiungere sempre gli obbiettivi del loro editore, secondo l’antico adagio che si lega il ciuccio dove vuole il padrone.
Evidentemente la posizione del quotidiano è cambiata, perché oggi fare il bene della “Fiat” significa fare quello dei francesi di Stellantis a cui gli Elkann l’hanno venduta con il supporto mediatico dei loro giornali e con le tragiche conseguenze industriali sotto gli occhi di tutti. È difficile, però, pensare che l’attuale indirizzo politico-editoriale del giornale sia stato immaginato e concretamente reso attuale da un editore, Jaky Elkann, che a giudicare dalle immagini televisive ha serie difficoltà a leggere anche interventi che, probabilmente, qualcuno gli ha scritto e confezionato. Un editore che giunge a lamentarsi per le violenze fisiche e psicologiche (sculacciate?) della madre quando era piccolo. È facile immaginare che Elkann, alle rimostranze che certamente giungono dalla maggioranza politica, si limiti a pigolare sommessamente: Certo, ha sostituito Giannini, ma con l’attuale direttore la musica non è certo cambiata.
A questo punto, da lettori e osservatori esterni, si può oggettivamente supporre che la linea de La Stampa sia oggi definita e praticata da una sorta di scombiccherato collettivo interno, pallida emulazione del CdR di Fiengo ai bei tempi del Corriere della Sera rosso. Un collettivo che tuttavia indirizza e lascia ai singoli redattori l’ individuazione degli obiettivi da colpire e possibilmente abbattere, nella politica interna ed estera, nella cronaca nazionale e locale, nella cultura. L’importante è picchiare sul governo, sui ministri e su tutto quanto abbia sentore di centrodestra, il più delle volte con una faziosità degna più di un foglio di propaganda attivistica che del “giornalone” di una volta. “...non ho ancora capito che cosa abbia da proporre la cultura di destra”, scrive ad esempio Mattia Feltri. Queste sentenze oracolari, dal sapore apodittico dimostrano un senso di superiorità imbarazzante quanto inconsistente.

Massimo Giannini
Chi le scrive, liquidando, con una sorta di neozdanovismo, in poche tendenziose e inaccurate parole il gigantesco versante della cultura di destra, non legge neppure, sul suo giornale, gli articoli sempre di spessore del filosofo Massimo Cacciari, purtroppo sporadici, che anche tale cultura ben conosce e frequenta.
Si fa il piccolo tifo per il finto discriminato Saviano o per la scomparsa Murgia, senza neanche voler o poter dare giudizi valutativi sulle loro opere: basta che siano scrittori fortemente schierati nell’agone politico, ovviamente a sinistra, e noti anche per i continui attacchi al governo e alla sua presidente Meloni. È naturale che qualcuno faccia il controcanto al canto monocorde di Saviano, Murgia e tutta la vasta fanfara orchestrale stonata e a senso unico. Ma la cultura di destra è proprio tutto il resto, è proprio tutta quella che, come qualche redattore dal celebre patronimico non vede, non si fa trascinare e strumentalizzare nella piccola attualità politica. È cultura di destra quella che resiste nelle università italiane, al posto dei rettori e dei professori pavidi, ai diktat degli attivisti filopalestinesi. Quella che resiste pervicacemente malgrado gli apparati dei poteri economici e mediatici tentino di renderla invisibile. Ma in tutti i settori: dalle arti, alla musica, alla letteratura è non solo ben presente ma in posizioni spesso di primato se non di egemonia. Solo il nostro redattore non la vede. O fa finta di non vederla.
Mattia Feltri con il papà Vittotio

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