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IL FATTO
08 Giugno 2024 - 06:00
Ha aperto il raccordo del contatore del gas con una pinza, poi ha chiuso ogni infisso e si è allontanato, senza voltarsi verso il palazzo di piazza Borgo Dora 42. Che, alle 9 di lunedì mattina, ha rischiato di esplodere, come emerso dalle indagini del vigili del fuoco e da una consulenza richiesta dal pubblico ministero Patrizia Gambardella: per questo un torinese, sarto di 57 anni con un passato negli atelier di Armani e di Gucci, è finito in manette. Ieri la giudice Giovanna Di Maria ha convalidato il fermo per il reato di strage perché, secondo l’accusa, «voleva uccidere». E lo dimostrerebbe anche una frase shock, sussurrata ai poliziotti che lo hanno rintracciato. Loro gli hanno detto che avrebbe potuto fare del male a persone innocenti e lui ha risposto: «Tanto tutti dobbiamo morire».
I fatti, avvenuti a due passi dal Sermig e dalla Scuola Holden: erano le 8.30 di lunedì quando i vicini di casa del 57enne hanno iniziato a sentire un forte odore di gas. Qualcuno si è sentito male, altri hanno chiamato subito i vigili del fuoco, che hanno riscontrato una presenza del 14% di gas metano all’interno dell’appartamento al primo piano. Per questo hanno prima fatto evacuare gli abitanti di piazza Borgo Dora 42, poi quelli dei civici 38 e 40. Quindi sono entrati nell’alloggio e hanno trovato una stufa elettrica accesa, il frigo aperto e l’allaccio del gas svitato, con il metano che ormai aveva riempito le stanze: «C’erano le condizioni ideali per generare un’esplosione dagli effetti potenzialmente letali» si legge nella consulenza del chimico Fabrizio Seganti, chiamato dalla pm Gambardella per analizzare il pericolo corso dai residenti.
A quel punto sono scattate le ricerche del responsabile. I poliziotti delle volanti lo hanno trovato a quasi 3 chilometri di distanza, in un prato a due passi dal Palazzo di Giustizia: «L’amministratore e il capo scala sono dei farabutti - ha urlato agli agenti - Ho deciso di farmi giustizia da solo con il gas». Accanto a sé aveva una sorta di ascia (un “tomahawk”), una tronchesina e la pinza a pappagallo utilizzata per aprire la valvola. Ieri, all’udienza di convalida del fermo, il sarto è stato assistito dall’avvocato Tiziana Porcu: «Ero in preda alla rabbia, è stato un gesto istintivo - ha spiegato a giudice e pm - Volevo farmi giustizia da solo contro l’amministratore e il capo scala. Ma non volevo uccidere i miei vicini, pensavo che fossero tutti al lavoro a quell’ora». A colpire è anche come, dietro una vicenda del genere, ci sia un uomo con un passato “normale”: «Sono stato responsabile di qualità e produzione per Giorgio Armani, poi ho lavorato da Gucci. Finché mia mamma si è ammalata di cancro e ho dovuto lasciare tutto per prendermi cura di lei. Adesso è mancata e io non riesco a entrare in possesso dell’eredità e dei mie soldi: va avanti così da 10 anni».
A sentire l’amministratore, però, il sarto lo ha aggredito ed è moroso nei confronti del condominio. Infatti c’è un decreto ingiuntivo contro il 57enne, che ora è in carcere con l’accusa di strage. Perché, per la legge, è un reato talmente immediato e pericoloso che basta il tentativo per contestarlo.
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