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17 Giugno 2024 - 05:50
Gaia, 43 anni, con i suoi due figli di 10 e 6 anni
Un incubo che ha avuto inizio tre anni fa, nel 2021. Gaia, 43 anni, un giorno è arrivata all’ospedale Regina Margherita con due costole rotte. “Regalo” dell’ex compagno con problemi legati all’alcol. La donna, madre di due figli piccoli, spinta anche dalle dottoresse dell’ospedale che la stavano curando, ha trovato la forza dopo tanto tempo di andare a denunciare quel compagno violento. «Ma da quel momento è iniziato il mio calvario, che prosegue tuttora», racconta Gaia, che oggi vive in una comunità a Torino con i suoi due figli, un bambino di dieci anni e una bimba di sei. Una vita da incubo. «Ho perso il mio lavoro e i miei figli vanno pochissimo a scuola», rivela. Colpa, a quanto pare, dell’iter burocratico “monstre” imposto dal Tribunale dei minori che da anni obbliga Gaia a presentarsi con i due bambini continuamente ai colloqui con gli assistenti sociali. Pena, secondo quanto riferisce la donna, la minaccia di allontanarla dai suoi bambini. Un’agenda di colloqui fittissima, con anche tre o quattro appuntamenti alla settimana. «Ero responsabile cross marketing, guadagnavo bene, ma ho dovuto prendere così tanti permessi e ferie per gli appuntamenti imposti dal Tribunale che alla fine mi hanno licenziata. E ho perso anche il lavoro che avevo trovato successivamente, part-time. Inoltre, i miei figli hanno saltato tantissimi giorni di scuola».
E questo, perché la 43enne, dopo tanto tempo, aveva finalmente trovato il coraggio di presentarsi negli uffici della polizia di via Olivero per sporgere denuncia contro l’uomo che la maltrattava e la picchiava, e che è anche il papà dei suoi bambini. Un boomerang, dunque, quella denuncia per maltrattamenti alla polizia. Gaia racconta di essere stata mandata anche al Sert, i Servizi per la patologia da dipendenze. «Come se fossi una drogata o un’alcolizzata», si sfoga la donna. Che spiega poi di essere stata anche costretta a vendere la casa di proprietà, dove risiedeva nel quartiere Santa Rita, dopo la perdita del suo lavoro. Con i soldi ricavati la signora ha acquistato una casa fuori Torino, a Bagnolo Piemonte. «Ma non ci posso andare, perché di fatto vivo “prigioniera” in una struttura a Torino. Con me ci sono altre cinque mamme, tutte straniere». Nella casa-famiglia, Gaia ci vive dal luglio 2023, con i due ragazzi. Ormai, è passato quasi un anno. «Vorrei tanto uscire, andare nella casa che ho comprato, con i miei soldi, dopo avere venduto l’alloggio in cui per vent’anni ho pagato il mutuo. E invece non posso». Ancora ieri, l’ultimo episodio degno di nota. «I miei figli - racconta - volevano andare al parco della Tesoriera. Era una bella giornata e avevano voglia di giocare all’aperto. Mi è stato impedito. “Se lo fai chiamiamo i carabinieri”, mi sono sentita rispondere dai responsabili della struttura. Come se vivessi in carcere».
Oggi Gaia cerca di sbarcare il lunario facendo le pulizie in un albergo, si è anche iscritta al corso per Oss. Ma la sua “clausura” le impedisce di avere una vita normale. «Mi sono anche ammalata per colpa di questa situazione. Non capisco cosa ho fatto di male. Questa è la riconoscenza per avere denunciato un violento». E la 43enne è pure appiedata, perché dopo la casa è stata costretta a vendere anche l’auto. Ad assistere la donna è l’avvocato Bruna Puglisi. «Gesti eclatanti? Ci ho pensato. Sono anche pronta - dice Gaia - ad andare a incatenarmi davanti al Tribunale dei minori».
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