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L'editoriale degli altri

Giuliano Ferrara? “Gratti il russo e vien sempre fuori il cosacco...”

Il commento di Massimo Massano e il testo dell'articolo di Giuliano Ferrara sul Foglio del 5 agosto

Giuliano Ferrara

IL COMMENTO DI MASSIMO MASSANO

Compagni addio”, scrisse negli anni ’80 alla sinistra, di cui era un beniamino, Giampiero Mughini, classe 1941, già direttore di Lotta continua, il quotidiano che mise a morte il commissario Calabresi. Poi si mise a sproloquiare di calcio e, benché juventino ed ex comunista, a leggere, apprezzare e collezionare libri futuristi. L’eco dell’azione coraggiosa di questo simpatico arnese, tra I giovani di destra, fu assordante: il muro iniziava a sgretolarsi prima che a Berlino. Ma prima di lui, nell’ ’82, notevole portata ebbe l’abiura di Giuliano Ferrara, classe 1953, capogruppo del Pci in comune a Torino, che salutò con uno sberleffo filopalestinese - lui figlio di padre ebreo e oggi campione dei filosionisti italici - il sindaco comunista Diego Novelli, piccolo burocrate che baciava la pantofola ad Agnelli alla faccia dei lavoratori della porta 1 della Fiat, ma che con la marcia dei quadri del 1980 venne comunque messo a cuccia da Romiti, e senza le solite mance.
Bene, l’articolo che Ferrara ha scritto sulle Olimpiadi e che ripubblichiamo su TorinoCronaca ci dimostra quanto inafferrabile possa essere il senso della coerenza rispetto al primato di un’ideologia iniettata nelle vene di un bambino, qual era il piccolo Giuliano a Mosca, ove papà faceva il corrispondente dell’Unità.

“Immenso teatro della crudeltà“ sono le Olimpiadi, scrive dunque il nostro. Lo scrive su Il Foglio, da lui fondato e da lui reso il giornale della colta e moderna destra italiana, quella conservatrice in politica, liberale in economia, sempre garantista contro i mozzaorecchi del moralismo giacobino, aperta ai diritti, ma pure ai doveri, intransigente verso il panciafichismo a corrente alternata dei from the river to the sea Palestina will be free che vuole Israele rasa al suolo. Ma Ferrara qui scivola e di brutto, le radici non muoiono, gratti il russo e vien sempre fuori il cosacco. Quante riflessioni si potrebbero fare sull’indomabile indole egualitaria che emerge dai suoi pensieri antiolimpici. No, non è l’età che lo rende pensoso. Non è il suo geniaccio giornalistico che gli fa intercettare il sentimento che alberga anche in ciascuno di noi, quello della pietas e del riconoscimento del dolore della sconfitta. È invece il perenne stimolo repressivo verso chi afferra il drappo della vittoria, è la filosofia del piattume egualitarista che sopravvive nello sconfittismo cerebrale, è quell’incurabile virus senza antidoti, inoculatogli da marmocchio sulla soglia del Cremlino che riemerge dalle parole del povero Giulianone nostro.
E dire che questo enfant prodige, cresciuto a pane e Togliatti, vissuto da giovane nel più crudo e ortodosso alveo dell’intelligenza comunista, ce l’ha messa proprio tutta per guarire da quella brutta malattia. Trentenne abbandona il Pci, si ricostruisce un imene democratico diventando craxiano, poi fa di tutto e bene: star televisiva, maitre à penser del berlusconismo, polemista, opinionista, ministro. Soggetto antipatico a molti, soprattutto a quelli che a sinistra non riescono a digerire la sua incontestabile superiorità intellettuale, si è davvero curato in tutti i modi, Big Giuliano. Ma niente, non ce la fa: “il fumo malefico della sconfitta”, scrive l’elefantino rosso nel raccontarci “la crudeltà delle Olimpiadi”. Ma cazzo, Ferrara, è questo il mondo! Non c’è ferocia nella gara, nell’agonismo, nello scontro leale. C’è chi vince e c’è chi perde. Chi perde con onore e chi vince con onore. La sofferenza della sconfitta non può estinguere lo spirito competitivo, la volontà di supremazia che cònnota la natura tutta, dall’uomo alla fiera.

Massimo Massano

ECCO IL TESTO DELL'EDITORIALE DE IL FOGLIO

Questo immenso teatro della crudeltà chiamato Olimpiadi, di Giuliano Ferrara

Le Olimpiadi sono spettacolo per famiglie, in apparenza, e magari di pura passione per la gara in sé, in realtà a guardarle bene sono un immenso teatro della crudeltà. Alla bellezza dei giochi, alla loro varietà, al campione universale di umanità che esprimono e rappresentano, corrisponde la costruzione o coltivazione intensiva dei corpi degli atleti con effetti di armonia e bellezza classica e di deformazione funzionale del visus e della muscolatura. Si capisce a un primo sguardo la fatica impiegata in anni di preparazione accanita, si intuisce come sogno e incubo l’ansia del primeggiare che è la vera gloria di competizioni alle quali in teoria si dovrebbe prima di tutto partecipare decoubertianamente, e solo dopo eventualmente vincere. Balle. La caccia alla medaglia cancella ogni aspetto genericamente sportivo, com’è d’altra parte naturale, e impegna in una vera guerra per il traguardo finale. (segue a pagina quattro Se sei fuori per un centesimo di secondo, e come la nostra bella e giovane atleta del nuoto piangi lo stesso di gioia, dai superbamente dello stronzo a quel .centesimo della derelizione o del quarto posto, ti considerano una mostruosità, De Coubertin è l’elemento freak della compagnia e partecipare non ha senso se non per salire sul podio. Tremendo. Il copione, cerimoniale e protocollo compresi, è scritto e concepito per la glorificazione del momento assoluto, che è evasivo, si afferra a un prezzo altissimo o sfugge alla presa più ardente, non corrisponde a sforzi e slancio personale o di squadra, che possono esserci al massimo grado e non essere ricompensati nemmeno con una miserabile mancia, con una consolazione, basta un allentamento, basta una minima distrazione e anni e anni di lavoro, di rincorsa psicologica, di tensione fisica e morale, se ne vanno nel fumo malefico della sconfitta. I nostri occhi e tutta la nostra attenzione corrono appresso agli eroi delle vasche o dei diecimila metri, a fondisti velocisti marciatori e maratoneti, a condizione che vincano, che doppino gli atleti che non ce la fanno, che impongano fatica e strazio polmonare muscolare cardiaco come pegni di vittoria e di eliminazione diretta degli avversari.

Nel teatro della crudeltà non c’è un secondo atto, la prossima volta sarà tra quattro lunghi anni, sarà letteralmente un’altra storia che non necessariamente prevede la presenza dei perdenti. In queste Olimpiadi crudelissimo è poi apparso il mito della trasfigurazione o metamorfosi, cantato con somma crudezza e afflato mistico nel famoso poema di Ovidio in cui dèi e destino modificano identità e modi dell’essere per capriccio o per punizione o per amore. Sarai un legno storto o un toro o una fonte d’acqua perenne a seconda di come il cielo o il divino decidano per te. E per di più qui il gioco è ormonale, riguarda cioè il testimone ultimo dell’identità sessuale e di genere, coinvolge la scienza genomica che è molto peggio di qualsiasi Dio cattivo e vendicativo, eccita la saga dell’opinione, del dubbio, dell’irrisione ideologica, e un’atleta algerina è inchiodata a una discussione sul suo essere donna e all’idea prevaricatrice di una tempesta di testosterone che si abbatta su un’altra atleta che deve addirittura ritirarsi di fronte a una colossale metamorfosi psicofisica dal volto di maschio su un corpo di femmina. Sarà anche un grande spettacolo universale per famiglie e gruppi di passione, ma che spettacolo duro e aspro sono le Olimpiadi.

Giuliano Ferrara

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