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Torino, Juventus e dintorni

Ecco perché il calcio è uno sport e gli stadi non sono campi di battaglia

Dopo la contestazione dei tifosi granata al presidente Cairo

La manifestazione

Il Torino

Io ho un sogno. E’ quello di portare allo stadio le mie figlie, di sedermi comodamente sui seggiolini e di tifare per la squadra del cuore così come alle Olimpiadi si tifa per i campioni che si cimentano nelle diverse discipline. Con il cuore e in modo civile. Ma chi lo ha detto che il tifo per uno sport popolare come il calcio debba essere monopolizzato da ultrà, o hooligan che dir si voglia? Ma chi lo ha detto che gli stadi non debbano esser concepiti a “misura di famiglia”? Non lo ha detto proprio nessuno. Anche gli slogan sdoganati negli stadi e conditi di insulti irripetibili, non fanno bene al calcio e allo sport.

La protesta al presidente Cairo (ispirata da sentiment forse obiettivi: vinciamo almeno la coppa del nonno), potrebbe anche avere successo, perché in fin dei conti al presidente non lo ha certo prescritto il medico di sentirsi mandare a quel paese da diecimila tifosi. Ma è altrettanto verosimile immaginare che per il Torino le cose potrebbero cambiare anche in peggio. Insomma “il sogno” resta tale e difficilmente si realizzerà. Ad onor del vero, e bisogna dargliene atto, in tempi non troppo lontani, un presidente aveva provato a cambiare le cose. Giovanni Cobolli Gigli alla guida della Juventus, aveva tentato di tagliare i ponti con un mondo che, pur avendo a che fare con il calcio, nulla ha da che spartire con lo sport. Un progetto in testa ce l’aveva, ma è stato al vertice dei bianconeri solo tre anni. Troppo poco per ricostruire il calcio e trasformalo nuovamente in sport.

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