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Referendum
03 Giugno 2025 - 10:03
Sui referendum abrogativi gli italiani l’hanno sempre pensata in modo chiaro. Fatta eccezione per quei quesiti che riguardano temi di fondo (divorzio, aborto), hanno sempre demandato volentieri al Parlamento l’incarico di modificare le leggi. Tant’è che gli abrogativi su questa o quella leggina si sono sempre dimostrati dei flop. Perché spendere 3/400 milioni di euro quando Camera e Senato possono e devono fare loro? Anche le consultazioni del prossimo fine settimana, verosimilmente, non raggiungeranno il quorum e le cose rimarranno quelle che sono. Questo sul piano generale, poi c’è l’aspetto politico che riguarda alcuni tra i promotori della consultazione o alcuni partiti che si sono schierati per il Sì.
È incomprensibile la scelta del Pd di invitare gli elettori ad abrogare i Jobs Act, voluti da Matteo Renzi quando ricopriva il ruolo di segretario politico dei Dem. Insomma, la nuova segretaria sembra voler sbugiardare chi è venuto prima, con l’effetto, molto probabile, di allontanare ancora di più dal suo partito quel che resta dell’elettorato moderato. È come se papa Leone, appena eletto al Soglio di Pietro, rendesse obbligatoria la Messa Tridentina in lingua latina e riproponesse il catechismo di San Pio X (quello a domande e risposte) al solo scopo di cancellare il magistero di chi lo ha preceduto. Poi c’è un aspetto più complesso e riguarda la convinzione maturata dai promotori e dai partiti che sostengono l’abrogazione, di creare attraverso i referendum, un forte movimento d’opinione capace di mandare a casa Giorgia Meloni. Un po’ come fu per Renzi, ma quello era sì un referendum, ma non abrogativo e senza quorum.
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