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il ritorno del tiktoker
22 Giugno 2025 - 19:15
Depositphotos
Dopo giorni caratterizzati da silenzio e polemiche, Khaby Lame ha fatto il suo ritorno sui social media. Nessun comunicato stampa, né dichiarazioni ufficiali, ma semplicemente una fotografia che lo ritrae accanto a Will Smith, sorridente, sul set del nuovo film "Bad Boys: Ride or Die". Un atto modesto, accompagnato da un messaggio di gratitudine rivolto all'attore di Hollywood, il quale lo ha coinvolto nel progetto cinematografico. Tanto è bastato per rassicurare i suoi fan, turbati dagli eventi delle settimane precedenti. Tuttavia, dietro quell'immagine si cela ancora una vicenda che va oltre il patinato mondo di TikTok.
Il creator italo-senegalese, che conta oltre 162 milioni di follower, era stato fermato il 6 giugno presso l'aeroporto internazionale Harry Reid di Las Vegas dalle autorità dell'ICE (Immigration and Customs Enforcement) per aver oltrepassato i limiti del visto temporaneo. Lame era giunto negli Stati Uniti a fine aprile per partecipare a eventi di alto profilo, quali il Met Gala. In seguito al fermo, non è stata formalizzata un'espulsione, ma è stata adottata una "partenza volontaria", evitando così il rischio di un divieto decennale di rientro negli Stati Uniti. Secondo le ricostruzioni di testate internazionali come The Guardian e AP News, Khaby avrebbe lasciato gli USA dirigendosi inizialmente in Canada e successivamente in Brasile, dove ha pubblicato una storia da San Paolo. Da allora, nessuna dichiarazione pubblica è stata rilasciata. Nessuna conferenza stampa, nessuna intervista. Solo una foto con Will Smith e un sorriso che tenta di riportare alla normalità.
Eppure, la sua routine è stata sconvolta da un'ondata di accuse, sospetti e tensioni politiche. Il primo a strumentalizzare l'accaduto è stato Bo Loudon, un influencer vicino all'area trumpiana e autoproclamato amico di Barron Trump, che ha dichiarato pubblicamente di aver segnalato Khaby alle autorità per presunte irregolarità fiscali e violazioni del visto. Non soddisfatto, Loudon lo ha definito un “immigrato illegale di estrema sinistra”, senza mai aver visionato i suoi video. Un attacco gratuito che ha alimentato ulteriormente le polemiche legate alla nuova linea dura sull'immigrazione americana.
La situazione si è ulteriormente complicata con la pubblicazione di un articolo del Washington Post, in cui veniva ventilata – tra il serio e il provocatorio – la possibilità che cittadini europei potessero essere detenuti nella base militare di Guantanamo Bay, in seguito alle recenti direttive restrittive. A quel punto è intervenuto il governo italiano. Il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ospite a RTL 102.5, ha cercato di smorzare i toni: “Nessun italiano andrà a Guantanamo”, ha affermato. Ha inoltre precisato che "l'Italia ha già comunicato all'amministrazione americana la disponibilità a riprendere i propri cittadini irregolari", garantendo loro assistenza consolare e diritti tutelati. Tajani ha inoltre annunciato una telefonata con il nuovo Segretario di Stato, Marco Rubio, per ottenere ulteriori chiarimenti sull'episodio. “Non sappiamo nemmeno quanti italiani siano realmente coinvolti”, ha aggiunto il Ministro, cercando di ridimensionare un caso che, tuttavia, ha già assunto un'importanza di rilievo sia simbolica sia diplomatica. E non solo perché coinvolge una figura di spicco, ma perché tocca il tema – sempre più critico – della gestione dell'immigrazione e delle relazioni transatlantiche tra Europa e Stati Uniti.
Nel frattempo, Khaby Lame – nato in Senegal nel 2000 e cresciuto a Chivasso, in provincia di Torino – continua a essere un'icona pop di fama mondiale. La sua storia è nota: dopo aver perso il lavoro in fabbrica durante la pandemia, si è reinventato come tiktoker, conquistando il pubblico globale con la sua comicità muta e l'arguzia silenziosa dei suoi sketch. È diventato il creatore più seguito al mondo, ha firmato contratti con Hugo Boss, ha sfilato alle fashion week e, nel gennaio 2025, è stato nominato ambasciatore di buona volontà dell'UNICEF. Oggi, tuttavia, la sua vicenda personale incrocia quella collettiva di milioni di migranti e cittadini stranieri che quotidianamente si confrontano con confini, visti e burocrazia. Sebbene Khaby non si esprima, il suo caso ha già comunicato molto. Di certo, più di molti comunicati ufficiali.
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