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11 Luglio 2025 - 12:40
Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma e ministro, è stato arrestato il 31 dicembre 2024, dopo la revoca dei domiciliari per violazione delle prescrizioni relative ai servizi sociali. La sua detenzione, che dura ormai da mesi, sembra più una vendetta politica che una condanna giuridica. Condannato a un anno e dieci mesi per traffico di influenze nell'ambito dell'inchiesta "Mondo di Mezzo", Alemanno sta pagando un prezzo eccessivo rispetto al reato per cui è stato condannato. Una pena che, a giudicare dall’evidente sproporzione rispetto alla sua colpa, lascia l’amaro in bocca: mentre altri, accusati di crimini ben più gravi, non vengono messi in carcere, l’ex sindaco sembra essere stato scelto come capro espiatorio di un sistema, ancora intriso dei cascami di odio per la politica di Mani Pulite, che usa in taluni casi la giustizia come vendetta.
Il suo iter processuale, a giudizio di molti, è stato costellato di ombre. La sua detenzione non sembra tanto legata alla gravità dei reati (quanti stanno in carcere per una condanna di ventidue mesi?), ma piuttosto alla scomoda posizione politica che Alemanno ha ricoperto negli anni. Una pena tanto afflittiva e prolungata da suscitare interrogativi legittimi sulla natura delle motivazioni. Il fatto che altre figure, anche politiche, pur gravemente coinvolte in casi ben più eclatanti, abbiano goduto di attenuanti e di un trattamento più favorevole ha sollevato un clamore che ha spinto tanti, anche politicamente distanti da Alemanno, a farsi sentire. Questo non è solo un caso dove la giustizia formale “secondo la legge” divarica e confligge con la giustizia sostanziale, ma è anche una vicenda che richiama la necessità di una riflessione sulla credibilità del sistema giuridico italiano.
Dal carcere di Rebibbia, Alemanno ha intrapreso un coraggioso percorso di denuncia. Condividendo con l’esterno un "diario di cella" il politico ha cercato di portare alla luce le condizioni disumane in cui i detenuti sono costretti a vivere. Le sue parole sono un atto di resistenza: "Chi si lascia andare diventa un morto vivente", afferma. Le descrizioni delle sue giornate in cella sono cupe e inquietanti. Le celle, sovraffollate, sono il primo scoglio da affrontare: sei persone costrette a vivere in uno spazio angusto, senza alcun tipo di privacy. Il bagno, che si trova nella stessa stanza dove si cucina, è un altro dei problemi strutturali che Alemanno denuncia con forza. La mancanza di acqua calda e il caldo insopportabile che rende le giornate un inferno sono solo alcuni degli altri disagi di cui l’ex ministro fa eco. La sua denuncia non è solo un atto di rivendicazione personale, ma un appello a migliorare le condizioni di vita dei detenuti, troppe volte dimenticati dalla politica. In una lettera letta in Senato dal senatore Michele Fina (PD), Alemanno scrive: "Qui si muore di caldo, ma la politica dorme con l'aria condizionata". Con queste parole, Alemanno non solo mette in luce la sua sofferenza, ma denuncia una condizione di degrado che riguarda decine di migliaia di detenuti italiani e che troppo spesso porta i più disperati al suicidio. Nonostante le difficoltà, Alemanno affronta la sua detenzione con dignità. Non si lascia abbattere dalla sua condizione, ma continua a lottare contro le ingiustizie con grande forza d’animo. A differenza di molti altri che, pur accusati di crimini ben più gravi, sfuggono alla giustizia o ricevono pene minime, lui è stato trattato con una severità incomprensibile. In un paese che dovrebbe garantire una giustizia equa per tutti, il caso Alemanno evidenzia un pericoloso divario tra le parole e le azioni delle istituzioni. Se il suo crimine fosse stato davvero così grave, la pena inflitta dovrebbe essere stata accompagnata comunque da un trattamento più umano e proporzionato alla situazione. La vicenda è emblematica di un sistema che, invece di rieducare, sembra più orientato a punire per rivalsa.
Un aspetto importante di questa vicenda è la solidarietà che ha suscitato tra chi, pur lontano dalle posizioni politiche di Alemanno, ha riconosciuto l’ingiustizia della sua situazione e si sta muovendo per coagulare il consenso su l’iniziativa di inoltrare domanda di Grazia al presidente Mattarella. Tra queste iniziative vi è quella della raccolta di firme su change.org: “CHIEDIAMO LA GRAZIA PER IL DETENUTO GIANNI ALEMANNO”. Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, da par suo, ha risposto all’appello di Alemanno e ha visitato il carcere di Rebibbia, criticando pubblicamente le condizioni di vita dei detenuti. Non solo esponenti politici vicini al centrodestra, ma anche rappresentanti di altre forze politiche hanno messo in evidenza il trattamento crudele e sproporzionato riservato a Gianni Alemanno, chiedendo il suo trasferimento ai domiciliari per scontare una pena che appare decisamente esagerata. La sua esperienza ha portato alla luce non solo un caso di evidente accanimento giudiziario, ma anche il degrado e il sovraffollamento del sistema penitenziario italiano, che richiederebbero riforme urgenti, la costruzione di nuove carceri più moderne e più umane e la riattivazione delle piccole carceri mandamentali per attutire la piaga del sovraffollamento. La storia di Gianni Alemanno è ormai diventata un simbolo di una giustizia che sembra avere poco a che fare con la retribuzione per il crimine commesso, ma con una sorta di ritorsione contro l’uomo di potere che fu. La dignità umana di un uomo dovrebbe sempre essere messa in primo piano. Le istituzioni devono farsi carico della responsabilità di garantire che la giustizia, anche in Italia, sia davvero uguale per tutti, senza distinzioni politiche o personali. L'uguaglianza davanti alla legge deve prevalere, e la detenzione di Gianni Alemanno, che rischia di trasformarsi in una pena afflittiva ingiustificata, è la riprova lampante che bisogna agire. Subito.
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