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SALUTE & RICERCA
13 Agosto 2025 - 12:02
Un legame inaspettato tra litio e Alzheimer potrebbe finalmente spiegare come inizia la malattia e, forse, come fermarla. Dopo dieci anni di ricerche, un team della Harvard Medical School ha trovato che la carenza di litio nel cervello potrebbe essere la scintilla che accende la neurodegenerazione. Lo studio, pubblicato su Nature, mostra che questo metallo, già noto per il suo impiego in psichiatria, gioca un ruolo fondamentale nella protezione del cervello e nella preservazione della memoria. Se confermata, questa scoperta potrebbe aprire la strada a nuove possibilità terapeutiche per milioni di persone.
Lo studio è il risultato di un lungo lavoro scientifico che ha coinvolto esperimenti sui topi e analisi su tessuti cerebrali umani, nonché campioni di sangue di persone in diverse fasi di salute cognitiva. I ricercatori hanno scoperto che quando il litio scarseggia nel cervello, aumenta il rischio di Alzheimer, ma, cosa più sorprendente, il reintegro del metallo sembra in grado di invertire i danni cerebrali.
La carenza di litio, infatti, sembra accelerare la formazione delle famose placche beta-amiloide, responsabili di una delle caratteristiche principali della malattia. Inoltre, il deficit di litio danneggia anche altre strutture cerebrali, compromettendo la memoria e il funzionamento delle cellule nervose. Al contrario, quando il litio viene reintrodotto, il processo di neurodegenerazione rallenta, se non addirittura si arresta.
Il lavoro dei ricercatori ha messo in luce anche un dettaglio interessante: il litio è presente naturalmente nel cervello, ma a livelli che diminuiscono progressivamente con l’avanzare della malattia. "Il litio si comporta come altri nutrienti che assumiamo quotidianamente, come il ferro o la vitamina C", ha spiegato Bruce Yankner, professore di genetica e neurologia e autore principale dello studio. "È la prima volta che qualcuno dimostra che il litio ha una presenza biologicamente significativa nel cervello senza doverlo somministrare come farmaco".
I risultati sui topi sono altrettanto promettenti: nei topi a cui è stata somministrata una dieta povera di litio, i livelli del metallo nel cervello sono diminuiti drasticamente, con un conseguente deterioramento della memoria e l'attivazione di cellule infiammatorie. Tuttavia, quando gli stessi topi sono stati trattati con orotato di litio – una forma di litio in grado di eludere la proteina beta-amiloide – i danni cerebrali sono stati invertiti, la memoria recuperata, e i segni dell’Alzheimer sono scomparsi.
Nonostante gli incoraggianti risultati, gli scienziati avvertono che è troppo presto per trarre conclusioni definitive sugli esseri umani. Come ha sottolineato yankner, "Bisogna essere cauti quando si trasferiscono i risultati dagli animali agli esseri umani. Non possiamo sapere con certezza se il trattamento avrà gli stessi effetti sugli uomini finché non verranno avviati studi clinici controllati". Tuttavia, le potenzialità terapeutiche del litio potrebbero rivelarsi fondamentali. Secondo Yankner, l’orotato di litio o composti simili potrebbero presto entrare nelle sperimentazioni cliniche, offrendo una nuova speranza per chi è affetto da Alzheimer.
Il litio è già noto per il suo utilizzo nel trattamento di disturbi come il disturbo bipolare e la depressione maggiore, ma le quantità utilizzate in questi casi sono molto più elevate rispetto a quelle che potrebbero essere necessarie per affrontare la perdita di memoria. In questa nuova ricerca, infatti, sono stati usati dosaggi estremamente ridotti, con risultati positivi e senza effetti collaterali significativi sui topi. Se confermato nelle fasi successive della ricerca, questo approccio potrebbe portare a una nuova classe di trattamenti per l’Alzheimer, capaci non solo di rallentare il declino cognitivo, ma di migliorare la qualità della vita dei pazienti.
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