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Il caso
25 Agosto 2025 - 21:38
Profanare la tomba di una bambina che non ha mai visto il mondo, non con gli occhi aperti. È la straziante storia di Eden, una bambina che non è mai nata. E di sua madre, Erika, di suo marito e della sorellina di Eden. Una famiglia che a febbraio scorso ha visto materializzarsi uno dei più grandi incubi di una madre. Erika scopre a ottobre di essere in dolce attesa. Ma la prima ecografia morfologica la può fare a febbraio, quando sarà a 21 settimane di gravidanza. Perché prima non c’è posto.
«Io ricordo lo sguardo della dottoressa. Il suo tatto per dirmelo. Eden è malata. Ha una TGA».
Le valvole del cuoricino della piccola sono invertite. Una condizione rara, non rarissima. Ma con Erika sono franchi. Nessuno può garantire a quella mamma di 31 anni che la sua bambina potrà vivere una vita normale, sempre che sopravviva ai primi giorni di vita. La notizia l’11 febbraio. Poi il ricovero. E quella decisione difficile. Quel momento in cui qualcosa si spezza e si spezza per sempre. Perché tocca a Erika scegliere. Eden nella sua pancia si muove e finché sta lì, la piccola è al sicuro. Eden la sentiva muoversi. Eden, Erika Eden la sentiva.
Il 17 febbraio il parto, naturale. Il parto di quella bambina che nasce con gli occhi chiusi. Pesava 750 grammi e il suo corpicino era formato. Piccola, fragile. Erika resta sola alcune ore con la sua bambina mai nata. Avvolta in un lenzuolo bianco, sul letto, con lei. La sua pelle sfiora quella di Eden. Sembra dorma. Le ore più assurde. Mentre fuori bambini nascono e piangono, mentre il mondo scorre oltre le finestre, in quella stanza il tempo si ferma.
C’è una forza nelle parole di Erika. Nonostante tutto. Quando racconta, con una voce spezzata, non si sente un accenno di rabbia.
«Io voglio sottolineare una cosa. Chi si è preso cura di me, all’ospedale di Rivoli, lo ha fatto con un’umanità e un tatto che non dimenticherò mai» racconta Erika. In sottofondo si sente la sua bambina di quattro anni giocare, la voce allegra.
«Lei non sa cosa è successo esattamente, è troppo piccola».
Troppo piccola per conoscere le dinamiche di quella perdita, ma abbastanza grande da poter vedere lo scempio a cui assiste quando va al cimitero: girandole e cuoricini di carta distrutti. Vasi di fiori su quella tomba che vengono rubati. Quel luogo che è l’unico dove quella famiglia può ricongiungersi per intero viene violato.
«Avessero solo rubato qualcosa, mi farebbe male, ma non così. Potrei illudermi di credere sia qualcuno che non può permettersi di portare un fiore a un caro. Di comprare qualcosa». Ma no, non è così. Perché gli oggetti che mamma Erika porta a Eden sono distrutti. Divelti. Rovinati.
Il cimitero di Rivoli
«Io non riesco a concepire la cattiveria. Non capisco come si possa fare una cosa del genere. Mia figlia non è presente, la mia bambina non è su questa terra, ma lei è esistita».
La nonna di Eden va ogni giorno a trovare quella nipotina che non può incontrare altrove. Quella bambina a cui non potrà mai preparare pane e marmellata. E spesso vede di questi atti vandalici. «E non solo sulla tomba di Eden, anche in quelle degli altri bambini». Piccoli sogni interrotti di famiglie segnate da un dolore che non conosce una vera consolazione, e forse nemmeno una piena accettazione. Mai.
«Non ho mai potuto portare a casa la mia bambina, glielo avevo promesso, quando l’aspettavo. Le parlavo, le dicevo che nonostante tutto in qualche modo l’avrei portata a casa. Non sono riuscita, e soprattutto, vedo quella che è casa sua profanata». Erika vuole puntualizzare: «Il personale del cimitero, li conosco, so che sono persone che svolgono con dedizione il loro lavoro».
E allora forse Erika dovrebbe fare denuncia. Peccato che non ci sarebbero le prove di cosa accada. Perché nonostante al cimitero dove riposa Eden vi siano delle telecamere, queste non sono mai state accese. Come, costernato, conferma il sindaco di Rivoli, Alessandro Errigo.
«Sono solo sette telecamere, le abbiamo inserite un anno fa, quando ci siamo insediati».
Errigo non era a conoscenza di cosa è successo alla tomba di Eden: «E voglio assolutamente esprimere la mia solidarietà a questa famiglia, è un gesto ignobile toccare una tomba».
Figuriamoci quella di un neonato. O di un bambino che non è mai nato davvero. Per lo meno, non in forma corporea. Perché Eden, a modo suo, per mamma Erika c’è.
«Quando sono distrutta e penso che vorrei mollare, solo l’amore mi tiene in piedi. Nello stesso periodo ho perso mia nonna, la donna che mi ha cresciuta, il mio cane che era con me da tutta la vita, Eden. Ma l’amore, l’amore che provo per loro, quello per esistere non ha bisogno di un corpo».
E sicuramente la piccola Eden, a modo suo, contribuirà a qualcosa di importante: «Stavamo già lavorando perché le telecamere venissero aumentate e entrassero nel sistema di videosorveglianza della cittadina, parte della sicurezza, controllata dalla polizia locale». Errigo fa capire che questa storia non resterà una pagina scritta nero su bianco. E forse questo è l’amore di cui parla Erika. Una luce che riesce a non spegnersi, mai.
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