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Il processo

Askatasuna, scontri del 1maggio «Io ho preso cinghiate al corteo»

«C’era un accordo preciso e quindi il gruppo avrebbe dovuto rispettare la collocazione concordata»

Askatasuna, scontri del 1maggio «Io ho preso cinghiate al corteo»

Sono proseguite le udienze del maxiprocesso che vede imputati 38 esponenti del centro sociale Askatasuna per i fatti avvenuti durante il corteo del 1° maggio 2019, manifestazione che degenerò in scontri in pieno centro a Torino. Sono state raccolte due deposizioni significative a difesa degli imputati, che hanno contribuito a delineare ulteriori dettagli sulla complessa dinamica di quella giornata. A parlare in aula sono stati un storico simpatizzante No Tav della Valle di Susa e un avvocato, entrambi chiamati come testimoni dalla difesa. Massimo C., 60 anni, ha raccontato di essersi trovato nelle retrovie dello spezzone sociale impegnato a reggere uno striscione quando, secondo la sua testimonianza, il gruppo venne bloccato dal servizio d’ordine del Partito Democratico. «Volevamo passare avanti e non ce lo permettevano», ha spiegato l’uomo, riferendo di essere stato colpito al volto con una cinghiata da uno dei membri del servizio d’ordine. Il testimone ha poi raccontato di essersi allontanato sotto i portici a causa del sanguinamento e di aver ricevuto del ghiaccio da una passante, senza però sporgere alcuna denuncia. A seguire, in aula è salito l’avvocato Gianluca Vitale, che ha descritto la scena in via Roma, dove lo spezzone sociale si sarebbe fermato davanti a un ampio schieramento di agenti in tenuta antisommossa. Vitale ha riferito di essersi rivolto a un funzionario di polizia per chiedere spiegazioni sul blocco, e di essere stato in risposta colpito alla testa con un manganello. La ricostruzione si scontra tuttavia con la posizione del pubblico ministero Paolo Scafi, che ha ribadito come il gruppo No Tav, così come gli altri spezzoni sociali, fosse tenuto a posizionarsi nelle retrovie del corteo in base ad un accordo preventivo tra organizzatori e autorità. «C’era un accordo preciso e quindi il gruppo avrebbe dovuto rispettare la collocazione concordata». Scafi ha inoltre osservato che le contestazioni sull’operato della polizia, pur presenti nelle testimonianze, non rappresentano il fulcro del procedimento penale, che punta invece a stabilire le responsabilità sugli scontri e le violenze verificatesi.

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