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Il caso
07 Novembre 2025 - 22:00
«Mara Favro non può essersi uccisa». È scritto in apertura nella relazione dell’avvocato Roberto Saraniti, diciotto pagine depositate per opporsi alla richiesta di archiviazione dell’inchiesta sulla morte della cameriera valsusina, scomparsa da venti mesi. Un documento fitto, in cui il legale chiede una nuova indagine e contesta la versione ufficiale: «Gli inquirenti ritengono che la fragilità della donna e le sue condizioni economiche non floride abbiano portato Mara al suicidio». Ma secondo la difesa, i comportamenti di Mara «non sono sintomatici di manifestazioni depressive».
Semmai, scrive Saraniti, la donna si trovava in quella che in psichiatria è definita fase maniacale del disturbo bipolare, una condizione caratterizzata da oscillazioni estreme dell’umore, tra depressione e mania. «Anche i comportamenti disinibiti in ambito sessuale, fino ad arrivare a rapporti retribuiti, sono più compatibili con una fase maniacale che depressiva», sostiene il legale.
La prima persona ad aver parlato di suicidio, secondo la relazione finale dei carabinieri, fu proprio Massimiliano Favro, l’ex compagno della donna (stesso cognome, ma nessuna parentela) quando si recò dai carabinieri per essere ascoltato, due settimane dopo la scomparsa di Mara. È stato lui, insieme al fratello di Mara, a chiedere all’avvocato Saraniti di presentare l’opposizione giovedì sera, ultimo giorno possibile per il ricorso all’archiviazione voluta dalla Procura di Torino. Gli atti dell’indagine raccontano un quadro difficile: una donna fragile, 51 anni, economicamente in difficoltà. «Non ce la faccio più», aveva scritto pochi giorni prima in un messaggio. Un conto in banca sempre in rosso, diversi Tso, farmaci quotidiani, la perdita della custodia della figlia, e una vita sostenuta da aiuti familiari e assistenza sociale. «Nessuna entrata lavorativa costante, a malapena riusciva a pensare al quotidiano», si legge nel fascicolo. Una sua amica, sentita in caserma, l’aveva descritta come «ninfomane», con «una vita sessuale frenetica». Attorno a lei, diversi uomini: alcuni clienti, altri conoscenti. Tra questi anche un imprenditore di Montecarlo, con cui Mara aveva avuto una relazione. In quei giorni lui si trovava in Spagna. I due parlavano di «orge e festini a pagamento». In un messaggio, lei scriveva: «Ho fatto 4 clienti, 200 euro, fatto giornata». Tra le persone ascoltate per l’omicidio e l’occultamento di cadavere, c’è anche un uomo che frequentava la pizzeria dove Mara lavorava, la Don Ciccio. «Ci vedevamo, era sesso dietro un corrispettivo di 80 euro», ha dichiarato. Saraniti smonta pezzo per pezzo le dichiarazioni dei due uomini indagati: Luca Milione e Cosimo Esposto, titolare e collega di Mara. Analizza le incongruenze, soprattutto sulla ricostruzione dell’ultima notte. Un punto cruciale: le celle telefoniche. Il telefono di Mara, infatti, si aggancia per l’ultima volta nella zona della sua abitazione, non lontano dal luogo dove viveva. Solo 15 minuti dopo, la donna avrebbe chiamato Milione per dirgli che tornava in pizzeria a prendere le chiavi di casa e le sigarette. Un quarto d’ora fuori casa senza chiavi? Per Saraniti, qualcosa non torna.
Esposto, invece, aveva raccontato di averla accompagnata dopo il turno davanti al pub “Excalibur”, sei chilometri dalla pizzeria Don Ciccio dove entrambi lavoravano. Una versione che, secondo la difesa, non regge. Le contraddizioni si sommano, ma ora c’è una ricostruzione che racconta le sue ultime ore, i mesi antecedenti a quella drammatica notte, i racconti di chi la frequentava.
C’è un’unica certezza, l’ultima canzone che ha ascoltato la donna attraverso un’app del suo telefono. “Tardissimo”, un brano di Marracash, Guè e Mahmood. Da lì, per i tabulati, il silenzio. A sfogliare le carte, si possono ricostruire appunto tutti i momenti precedenti...
(Continua...)
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