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La manifestazione
20 Dicembre 2025 - 20:16
Amavano talmente tanto il loro quartiere da decidere di dargli fuoco. È un paradosso che si consuma in pochi minuti, ma che riassume una giornata intera. Alla partenza del corteo antagonista contro la chiusura di Askatasuna, davanti a Palazzo Nuovo, ci sono anche le famiglie. Passeggini, bambini per mano, facce normali in mezzo a un rito che normale non è mai. Prima di muoversi, le solite frasi al megafono: slogan consumati, insulti mirati. Nel mirino finiscono il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli, l’assessore regionale alle Politiche sociali Maurizio Marrone, indicato come il regista dello sgombero. Prima della partenza Stefano Millesimo, uno dei giovani leader di “Aska”, si ferma con le telecamere. Le stesse che per anni ha detto di detestare. Parla, spiega, rivendica: «Oggi non è una data di fine, ma un nuovo inizio».

Poco distante Nicola Gastini, destinatario di diverse misure cautelari, “ciondola” vicino a un furgone. Come se nulla fosse. Intorno, la politica che osserva e partecipa: l’assessore comunale Jacopo Rosatelli, il consigliere di Sinistra Ecologista Emanuele Busconi, la capogruppo di Avs in Regione Alice Ravinale, il deputato Marco Grimaldi. Poi il corteo si muove. Un primo giro lungo corso Regina. Le serrande dei negozi scendono una dopo l’altra, in fretta, come se la scena fosse già stata vista troppe volte. Gli antagonisti urlano, intonano cori. Non passano nemmeno cinquanta minuti. Quando le famiglie si defilano, quando i volti diventano coperti e le mani si fanno più leggere, su corso Regina, all’altezza di via Vanchiglia, scoppia il caos. Quello vero. La gente urla, scappa, si rifugia nei portoni dove capita. La polizia è schierata e prova a contenere con l’idrante e poi con le cariche. La risposta arriva subito. Volano bottiglie di vetro, pietre, fumogeni. Poi bidoni dell’immondizia, biciclette, qualsiasi cosa sia a portata di mano. Persino un ventilatore abbandonato accanto ai rifiuti. Partono fuochi d’artificio, bombe carta, razzi sparati ad altezza d’uomo. Non c’è pietà, non c’è distinzione. Incappucciati lanciano e tirano, senza guardare chi c’è davanti. Sono minuti lunghi e violenti. I cassonetti vengono dati alle fiamme, il fumo sale tra i palazzi. Un antagonista sradica un cartello stradale e se lo carica in spalla come un trofeo. Il quartiere che dicono di difendere diventa bersaglio. Non si respira.

La guerriglia che trasforma corso Regina Margherita in un teatro di conflitto dura mezz’ora: gli antagonisti cercano di riprendersi “l’Aska” riparandosi dietro allo striscione che recita “Torino partigiana, que viva Askatasuna”. Avanzano in gruppo ma vengono respinti da imponenti getti d’acqua sparati dall’idrante del Reparto mobile della polizia. Così i manifestanti (che inizialmente sono 2mila davanti alla sede delle Facoltà umanistiche e poi si ingrossano fino a superare le 5mila unità) decidono di usare i bidoni come “arieti” per avanzare verso le forze dell’ordine.
Vista la mala parata, i bidoni decidono di incendiarli. Il tutto mentre oltre agli idranti vengono sparati anche i lacrimogeni e in zona Vanchiglia l’aria si fa subito irrespirabile. Servono almeno due cariche per respingere indietro gli antagonisti che vogliono riprendersi il centro sociale sgomberato giovedì mattina.
Vedendosi respinta, la marea antagonista (i violenti hanno agito sempre col volto travisato) decide che l’ora della guerra è finita ed è meglio cambiare strada. Così il corteo vira su corso Farini, poi corso Belgio, corso Tortona e, oltrepassato il ponte, dritto su corso Casale e poi tappa finale alla chiesa della Gran Madre. Parrocchia che viene deturpata dalle scritte e letteralmente “colonizzata” dai manifestanti che sventolano bandiere pro-Pal. Intanto, c’è già la conta dei primi feriti, oltre che dei danni: sono nove gli agenti di polizia rimasti contusi dopo gli scontri con i violenti di “Aska”.
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