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Storia

La peste, il letale morbo che devastò il Nord Italia nel 1630

Dal calzolaio di Torino ai villaggi valdostani, l’epidemia portata dai lanzichenecchi travolse città e campagne lasciando morte, paura, ma anche fede e rinascita

La peste, il letale morbo che devastò il Nord Italia nel 1630

Nel XVII secolo, mentre l’Europa era già sfiancata da conflitti e carestie, un flagello invisibile e letale colpì il Nord Italia: la peste. Non fu un evento improvviso, ma una lenta e spietata avanzata che travolse città e campagne. A portarla furono i lanzichenecchi, soldati mercenari in marcia durante la Guerra dei Trent’anni, inconsapevoli vettori di un morbo che avrebbe cambiato per sempre la geografia umana e culturale del territorio.

L'inizio del 1630 segnò l'arrivo della peste anche a Torino. Il primo caso noto fu quello di Francesco Lupo, un calzolaio. In poche settimane, l’epidemia si diffuse con violenza inaudita, paralizzando la città. Chi poteva fuggire lo fece, inclusi molti rappresentanti del potere. Restarono in pochi: il consiglio comunale, alcuni religiosi e due figure fondamentali per la gestione dell’emergenza, il sindaco Bellezia e il protomedico Fiocchetto. Il caldo estivo peggiorò ulteriormente la situazione, favorendo il propagarsi del contagio tra una popolazione ormai allo stremo.

Nel frattempo, la peste aveva raggiunto anche la Valle d’Aosta. Nel maggio dello stesso anno, quattro reggimenti lanzichenecchi si stanziarono nei pressi di Aosta. Fu l’inizio di una catastrofe demografica: si stima che due abitanti su tre siano morti. Donnas, Pont-Saint-Martin e Perloz furono tra i primi centri a segnalare casi sospetti. A Donnas, un bambino di otto anni morì nel mese di aprile, seguito dalla madre e dal fratello. Le autorità tentarono di isolare il borgo, ma la posizione geografica lo rendeva un punto nevralgico tra la Valle e il Piemonte. Si arrivò a discutere la demolizione del ponte verso Vert, ma si preferì deviare i transiti con l’uso di una barca appositamente acquistata.

Non solo Torino e la Valle d’Aosta. La Lombardia fu teatro di uno dei capitoli più noti e devastanti dell’epidemia. Milano, già provata dalla fame e dagli scontri bellici, fu travolta dal contagio. Le vie cittadine si riempirono di cadaveri. Il panico portò alla caccia agli “untori”, sospetti responsabili della diffusione della malattia, alimentando violenze e superstizioni. L’episodio milanese fu poi reso celebre da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi.

Anche altre città lombarde subirono gravi perdite. Mantova, indebolita dai saccheggi dei mercenari, vide un collasso demografico senza precedenti. A Busto Arsizio, un terzo della popolazione perì; Varese non fu risparmiata. In molte località, la fede religiosa diventò l’unico appiglio. Si moltiplicarono processioni e riti collettivi, nel tentativo disperato di fermare l’avanzata della morte. Ironia tragica della storia: proprio questi assembramenti contribuirono a diffondere ulteriormente il morbo.

La peste del 1630 ha lasciato cicatrici profonde nei territori del Nord Italia. Oggi, luoghi come Torino, Aosta, Mantova, Varese portano ancora tracce materiali e simboliche di quel passato. Eppure, da quelle rovine, nacque anche una lenta ma determinata rinascita. La memoria di quegli eventi non è solo una pagina nera del passato, ma un richiamo alla capacità collettiva di resistere e ricostruire. Ricordare significa onorare chi, tra la paura e il dolore, ha scelto di non arrendersi.

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