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02 Febbraio 2022 - 07:44
Gli enormi capannoni dello stabilimento automobilistico più grande d’Europa sono ancora tutti lì, ma la superficie utilizzata per produrre automobili si è dimezzata rispetto ai gloriosi anni Settanta, quando il “fabbricone” dava lavoro a 60mila persone e sfornava ben un milione di vetture all’anno. Dalla Topolino alla 127, dalla 500 alla 600, dalla Panda alla Uno, e poi la Punto, la Multipla e la Lancia Thesis. Oggi gli addetti, secondo i dati forniti dalla Fiom, sono appena 12.163 e nel 2021 si sono prodotte 75mila vetture suddivise tra soli due modelli, la Maserati Levante e la 500 elettrica. Vetture non certo ambite come le storiche utilitarie che hanno reso celebre il marchio Fiat.
Basta osservare la mappa realizzata in esclusiva dal nostro giornale, secondo le indicazione della Fiom, per rendersi conto di quanto oggi la fabbrica stia lentamente cadendo in disuso. L’area delle fonderie e delle fucine non esiste più, poco più di 500 addetti lavorano alle presse, un migliaio nella produzione di cambi, sempre più minacciata dalla transazione elettrica in atto. Reggono solo le carrozzerie che danno lavoro a circa 3.500 persone. In generale, più della metà del totale dei dipendenti Fca sono impiegati che lavorano seduti alla scrivania all’interno dello stabilimento dove un tempo si producevano motori.
In tanti spazi la riconversione è stata un flop, come l’area Tne in corso Settembrini, di fianco alla Cittadella del Politecnico, che un tempo ospitava il polo logistico Dai della grande fabbrica. Si è cercato di rivitalizzare quel luogo simbolico con eventi culturali, attività ricreative e laboratori formativi, ma con la pandemia tutti i progetti sono naufragati e ora regna il degrado. All’interno di quei 30mila metri quadri accessibili a tutti spuntano montagne di rifiuti e ferraglia, e perfino lamiere di amianto rotte che spuntano sul pavimento ricoperto da un tappeto verdastro. Il polo logistico ha anche visto il passaggio dei ladri e dei vandali, come testimoniano i vetri rotti delle vetrate e delle porte, e i cavi elettrici di rame penzolanti dal soffitto.
Insomma, poco alla volta la gloriosa fabbrica inaugurata nel 1939 e realizzata con 35mila tonnellate di cemento, 12mila di ferro, su un’ara di 3 milioni di metri quadrati, sta diventando sempre più un luogo spettrale. Lo si percepisce anche guardando le trappe porte chiuse dai capannoni da cui decenni fa uscivano migliaia di operai. «Dei 3 milioni di metri quadri di Mirafiori, oggi ne vengono utilizzati circa la metà - spiega Edi Lazzi, segretario Fiom-Cgil di Torino -, pensiamo che sia necessario un progetto di razionalizzazione degli spazi per ridurre la spesa sempre più gravosa dell’energia in modo tale da poter abbassare i costi di produzione e favorire la produttività». «Serve un piano di rilancio corposo di Mirafiori - sottolinea Lazzi - che preveda la produzione di 200mila unità all'anno per la Carrozzeria, volumi che porterebbero lavoro anche alle Presse da anni in sofferenza. La media degli ultimi anni di 50mila auto vuol dire continuare con la cassa integrazione e arrivare al crack».
A preoccupare in particolare è il futuro degli oltre 250mila metri quadrati in cui sorgevano le ex Meccaniche: «Oggi in quello spazio ci sono mille operai che lavorano sui cambi della Panda e della 500 a motore termico, ma con l’arrivo delle auto elettriche andrà a morire - spiega il segretario della Fiom che punta l’attenzione su altri due aspetti -: E’ necessario produrre nuovi modelli e prevedere nuove assunzioni per ridurre l'età media dei lavoratori che è di 54 anni».
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