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04 Febbraio 2022 - 07:54
Il più grande è alto poco meno di un metro e mezzo e pesa trenta chili. «Più o meno come un bambino di 10 anni» ci spiegano dalla Universal Robots, la ditta di produzione danese che ha a Torino la sua unica sede italiana. A differenza di un preadolescente però i robot cosiddetti “collaborativi” (cobot) si muovono molto lentamente e si fermano se avvertono una pressione esterna da parte di chi li controlla. Utilizzati per fare tutti quei lavori che risultano troppo pesanti o difficili per l’uomo, gli automi sono già stati adottati da molte aziende del nostro territorio. Da Stellantis, che ne ha acquistati recentemente 11 per la produzione della 500 elettrica, alla Ferrero, che li usa per il packaging del cioccolato fino ad Alenia Space. Come a dire che il futuro è già qui. Viene da chiedersi a quale prezzo, in termini di perdita di posti di lavoro umani.
«I robot collaborativi non cancellano posti di lavoro. Anzi, alleggeriscono l’operaio». Non ha alcun dubbio Gloria Sormani, la country manager Italy della Universal Robots che dalla sede di via Lessolo, ai piedi della collina torinese, ci spiega perché i robot sono da considerarsi amici degli operai e non competitors. «Lei ancora vede aratri tirati da buoi?» domanda provocatoriamente a chi obietta che il lavoro robotico possa ledere al sistema occupazionale. «Il problema vero - prosegue - è che mancano molte figure professionali. I saldatori, ad esempio, non si trovano più». C’è poi un problema serio di aggiornamento delle competenze. «Sono centinaia i lavoratori che vengono considerati “inutili” perché non gli viene fatto un opportuno re-skilling - sottolinea Sormani -. Questi potrebbero senza dubbio diventare dei buoni operatori robot, a prescindere dal loro backgroud». Allo stesso modo, anche Christian Amoroso, sales manager della Universal Robots sottolinea come la mano d’opera automatica sia di aiuto ai lavoratori. «Ragioniamo per veicoli prodotti all’ora - premette -. Se grazie all’automatismo posso alzare l’asticella della produzione questo non vuol dire che il robot sostituisce la persona che lavora. Vuol dire piuttosto che si crea una produzione più efficiente e che può esserci una ridistribuzione del personale in azienda». Il braccio infatti ha sempre bisogno di un operatore che lo controlli. «Consideriamolo un trapano evoluto» semplificano gli esperti. Oppure, tornano ai saldatori, un fabbro 2.0. «Uno dei settori con maggiore espansione è quello della saldatura a filo - conferma Amoroso -. C’è grandissima carenza di operatori e il cobot dà una risposta vera». Il controllo della saldatura deve comunque essere fatto da un operaio qualificato.
Alle aziende poi i robot collaborativi piacciono molto. Ne è una prova concreta la crescita del fatturato della Universal nel 2021. La ditta che fa parte del gruppo Teradyne ha chiuso l’anno con 311 milioni di dollari di fatturato, registrando una crescita del 41% rispetto al 2020 e del 23% rispetto ai risultati pre-pandemia. Soprattutto le piccole e medie imprese sembrano apprezzarne i costi dei cobot, molto ridotti rispetto a quelli della robotica tradizionale. A seconda della taglia infatti gli automi possono costare da un mimino di 20mila a un massimo di 40mila euro, a cui si devono aggiungere i costi di montaggio e attivazione. Per un totale che non supera di norma i 100mila euro.. Va detto però che, seppur modernissimi, i robot non possono fare tutto. «Ogni volta che deve fare un’azione che implica un giudizio, il robot va in difficoltà» ammette Amoroso. Diversamente i costi delle macchine sarebbero ben più elevanti. C’è poi un tema di sicurezza sul lavoro, dal momento che le macchine si trovano gomito a gomito con gli operai nella linea di produzione «I nostri robot hanno 17 livelli di sicurezza - sottolineano dalla Universal -. Se la macchina avverte una resistenza esterna rallenta o si ferma».
Ad attrarre a Torino il colosso danese è stata la rete di competenze che si aggira intorno a questo mondo. I primi robot a Mirafiori sono arrivati nel 2018 e, per il futuro, Stellantis ha fatto capire di voler continuare in questa direzione. «Ogni anno ci comprano un certo numero di robot per i vari impianti» spiega Sormani, i cui robot negli scorsi anni erano arrivati a un passo anche dall’anagrafe centrale.
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