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L'allarme
06 Marzo 2023 - 11:40
Soccorritori del 118 dopo un intervento
«Eleonora aveva 6 anni e mi è morta fra le mani. Da quel giorno, per mesi, non sono riuscito ad abbracciare mia figlia». E’ solo uno dei tanti esempi vissuti direttamente dai soccorritori del 118, che ora chiedono un supporto psicologico per superare i traumi che vivono praticamente tutti i giorni. Tanto da organizzare apposta il convegno “Emozioni in emergenza. Salute mentale, trauma psicologico e resilienza”. E l’Azienda Zero, che coordina il soccorso in emergenza, dà loro ragione. Anche perché il protagonista di quell’episodio drammatico ora è passato “dall’altra parte” e l’ha raccontato pubblicamente al convegno organizzato il mese scorso dall’associazione Coes: «Da parte nostra c’è grande attenzione per gli autisti soccorritori - garantisce Marco Pappalardo, responsabile dell’area Formazione e Qualità dell’Azienda Zero - In quell’occasione ho raccontato di Eleonora, la bimba che mi è morta tra le mani in seguito a incidente stradale: sono passati anni ma ricordo i suoi occhi e la pancia che si espandeva perché piena di sangue. Sapevo che non c’era nulla da fare ma ho tentato fino all’ultimo di salvarla». Non c’è stato nulla da fare e Pappalardo si è portato dietro quel momento a lungo. Quando lo ha raccontato al convegno, ha pianto e fatto commuovere chi aveva davanti: «Da padre è stato un trauma devastante, non riuscivo ad abbracciare e accarezzare mia figlia: anche il suo odore mi dava fastidio>. Ma sono tanti i soccorritori del 118 che si trovano in questa situazione, come sottolinea Alberto Romeo, vicepresidente di Coes Piemonte: «Per questo abbiamo deciso di organizzare questo convegno come nostra prima attività: abbiamo visto che gli operatori hanno conseguenze psicologiche sempre maggiori. Tanti sono irascibili, hanno disturbi del sonno, sono frustrati. Dopo la pandemia, in particolare, possiamo ritenerci il “terzo paziente”, dopo i feriti e i loro parenti. Occorre per tutto il personale in prima linea Un sostegno psicologico: è sempre stato considerato qualcosa di scontato o un tabù. Invece un soccorritore traumatizzato e depresso non potrà mai fornire un servizio adeguato». Anche Romeo ha vissuto situazione delicate: «Una notte ho fatto il messaggio cardiaco a un’amica di famiglia, senza riuscire a salvarla. Dopo servizi come questi, arrivo a casa e mi sento solo, deluso, impotente. Se il giorno dopo arrivo al lavoro in lacrime, non c’è uno sportello dove rivolgerci». Come dopo la morte di Massimo Melis, operatore della Croce verde ucciso con un colpo di pistola il 31 ottobre 2021: «Dodici ore prima avevo lavorato con lui, facevamo le notti insieme ed era uno dei miei migliori colleghi. Mi aveva scritto un messaggio: “Vado a dormire, quando mi sveglio ci prendiamo un caffè”. Ma non si è più svegliato. Tutti noi soccorritori abbiamo perso un amico e un collega e ci siamo sentiti soli. Perché i medici ce l’hanno, Affrontiamo la morte tutti i giorni ma nessuno ci ha insegnato a conviverci, ad accettarla e a sopravvivere col ricordo di bimbi morti o uomini assassinati».
Riprende Pappalardo: «Io ho fatto tre sedute con Emdr, l’associazione che aiuta a superare questi traumi psicologici. E, ora che sono dall’altra parte, credo che si debbano avviare dei progetti affinché gli operatori siano seguiti: non è vero che, se non si vede, la malattia non c’è. Non bastano interventi a spot, ci vuole un’attenzione continua, non solo quando serve, in integrazione con i servizi ospedalieri. E magari la prevenzione con “sentinelle” sul territorio che riescano a intercettare queste situazioni prima che diventino malattie. Ma serve anche passaggio culturale per far capire questa necessità».
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