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IL BORGHESE
17 Giugno 2023 - 23:11
Una guerra tra poveri
Sono sogni che si infrangono contro la dura realtà dei fatti: debiti da onorare, mutui da pagare, attività imprenditoriali che non sono decollate come si era immaginato o sono state travolte dalla crisi. Oppure sono sfortune, “incidenti giudiziari”: conti aperti, sovente con lo Stato, che a un certo punto devono essere saldati.
E allora, il quadro appeso alla parete della casa di campagna o l’anello della nonna finiscono sul tavolo spoglio di un deposito del Tribunale. Pronti per essere aggiudicati al migliore offerente. Un numerino preceduto e seguito da migliaia di altri nei sempre più lunghi elenchi delle aste giudiziarie. Che a Torino, da qualche anno a questa parte, hanno raggiunto (numeri da record. Descrivendo, meglio di quanto possano fare tante parole, gli effetti della pandemia e della guerra in Ucraina. Con uno scenario che non è esagerato definire raccapricciante.
Perché la scala che scende verso l’abisso è assai ripida, assai meno lunga di quanto si possa credere. E dopo i quadri e gli anelli, a scivolare via sono gli immobili. Capannoni industriali, negozi, lussuose ville in collina. Ma anche tantissimi alloggi di ringhiera, due camere e cucina, costati anni di fatiche e pronti per essere venduti a prezzi scontati. Nel 2022, nella nostra provincia, questa sorte è toccata a 2.002 immobili: 779 a Torino, 70 a Moncalieri, 54 a Pinerolo e a Settimo, 51 a Chivasso, 40 a Rivoli e 34 a Chieri.
Segno che la crisi morde forte nel capoluogo, ma che pure fuori, nella prima cintura, le cose non vanno bene. E a confermarlo ci sono altre cifre, messe in fila dalla Cgil e dal Sunia, il sindacato degli inquilini. Con 20mila famiglie che sotto la Mole non sono più in grado di pagare l’affitto, 6.000 che aspettano che si liberi una casa popolare. Macinando bile ogni volta che si scopre una nuova occupazione abusiva, ma soprattutto quando si scopre che ci sono centinaia di alloggi dell’Atc vuoti che non vengono assegnati.
Con la casa che da diritto sancito dalla Costituzione diventa motivo di tensione sociale. Una tensione altissima, che rischia di sfociare in una guerra tra poveri, diventati una categoria sempre più ampia, in cui sono confluiti tanti del cosiddetto ceto medio. Compresi parecchi proprietari di alloggi che non sono tutti palazzinari, anzi.
E magari non avevano fatto male i conti, ma semplicemente fatto affidamento su quella pigione che gli inquilini hanno smesso di pagare. Prima che la situazione sfugga di mano, serve che la politica intervenga. In maniera seria, magari coinvolgendo quelle banche che si ritrovano con migliaia di case di “cattivi creditori” in pancia, senza sapere cosa farsene. Servono nuovi progetti con loro, con i proprietari e con gli inquilini. Ma bisogna fare in fretta. Perché dietro ogni numero c’è una storia, una famiglia, un’impresa. E tanta rabbia, oltre alla disperazione.
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