Ma guarda chi spunta in Senato, nel giorno dei lunghi (si fa per dire) coltelli per il Premier Conte. Da dietro una porta fanno capolino Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, gli antenati “voltagabbana” dei nuovi “responsabili” chiamati a sostenere il governo che traballa. Proprio loro, ammessi al soglio grazie a quella norma che consente agli ex parlamentari di circolare liberamente in Camera e Senato e magari di fare lobbing anche in momenti così delicati. Due comparse in questa tragicommedia del potere, che simboleggiano il trasformismo di cui è capace la politica. Loro che nel 2010 salvarono capre e cavoli al Cavaliere lasciando l’Italia dei Valori e votando contro la sfiducia all’allora governo Berlusconi IV e divennero la pietra dello scandalo, sono lì ad osservare i salvatori, mentre chi allora li dileggiava oggi alza persino la mano in un cenno di saluto. Proprio come accade a qualche cinquestelle, ai tempi anticasta che ora spera che l’aula porti al salvataggio del Premier ma, soprattutto delle poltrone su cui sono seduti. «La ruota gira - dice Razzi ai cronisti che lo assediano - e io voglio guardare in faccia quelli che a suo tempo mi hanno preso in giro dandomi del voltagabbana, del poltronista. E pure di peggio». Difficile dargli torto, la ruota gira e quello che veniva giudicato come un mercato delle vacche poco più di dieci anni fa, ora assume il significato di un gesto quasi nobile, anche se il giudizio politico sui voltagabbana in fondo è difficile cancellarlo, anche in quest’epoca piena di trasformismo. Ma tant’è, anche il nostro elegantissimo premier apprezza la nuova filosofia tanto che è passato direttamente dalla guida di un governo a quella di un altro di segno opposto. Ma in fondo che cosa non si fa per il potere, o per tenere in vita la propria baracca? Nel non detto, o taciuto per impulsi che non sono proprio ascrivibili al segreto professionale, si svela un altarino curioso proprio su Razzi e Scilipoti, ai tempi della loro elezione a senatori nella scuderia dell’Italia dei Valori. Correva l’anno 2006 e Antonio Di Pietro, sovrano dei moralizzatori, commissionò la campagna elettorale del suo partito alla società Casaleggio&Associati, che per portare i suoi paladini in Parlamento incassò più di un milione e 500 mila euro. Quattrini provenienti dal finanziamento pubblico con cui l’ex magistrato pagò l’azienda milanese che, stranezze della politica, più o meno nello stesso periodo organizzava con Beppe Grillo un referendum contro quello stesso finanziamento pubblico. Con gli stessi quattrini? Questo non si sa. Dunque gira e rigira un po’ di spirito grillino con Razzi e Scilipoti c’è sempre stato. Un legame che, al di là e al di sopra di screzi, insulti e prese in giro, in fondo rimane. A maggior ragione nel giorno in cui per dirla alla Walter Matthau, in un suo celeberrimo film, il governo «si gioca la bambina». Un bell’esempio, non c’è che dire, portarli in aula rivestiti a puntino da “responsabili”.
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