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Sul carro dei vincitori

olimpiadi tokyo 2020

Fonte: Depositphotos

Confesso che ho tradito lo spirito di De Coubertin e non una, ma molte volte. In queste olimpiadi ho gioito con particolare malignità ogni volta che una vittoria italiana sembrava fatta apposta per guastare la digestione a sovranisti, retrogradi, razzisti tout court. Dalla portabandiera Paola Egonu (sì, è veneta) al marciatore musulmano per amore, alla nostra staffetta 4x100... Poi però mi sono sinceramente dispiaciuto, perché se il motto per eccellenza è «l’importante è partecipare», è un peccato togliere la gioia di partecipare ai critici, ai rosiconi, ai retrogradi (già detta questa?) che vogliono partecipare appunto nell’unico modo che conoscono, saltando sul carro del vincitore. È bello vederli meravigliarsi per l’Italia multietnica e internazionale vista a Tokyo, dove meravigliarsi significa non avere preso un mezzo pubblico negli ultimi vent’anni, non avere visto una scuola elementare, incontrato i compagni di scuola di figli e nipoti... L’Italia è questa da un bel pezzo e, se vogliamo dirla tutta, al limite è la nazionale di calcio (sì vabbè, questioni tecniche però) a fare eccezione (e probabilmente la delegazione degli sport invernali, almeno per il momento). Il presidente del Coni Malagò ha invocato lo ius soli sportivo, ossia nazionalità al compimento dei 18 anni per gli italiani nati da genitori stranieri. Caro Malagò, a 18 anni è già tardi. Quanto a molti “vincitori” di cui sopra (quelli sul carro, avete presente?), le idee di certi politici non è che impedirebbero di correre per l’Italia a Faustino Desalu, ma impedirebbero di venire in Italia a persone come sua madre, che con sacrifici e amore ha aiutato un campione a sbocciare e l’inno di Mameli a risuonare. Rifletteteci.

andrea.monticone@cronacaqui.it
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