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La buona pratica della prudenza

vaccino covid

Vaccino (foto depositphotos)

Un illustre infettivologo ci dice che al vaccino contro il Covid, dovremo farci l’abitudine. E non solo quest’anno. Specie a quella terza dose che per molti è già arrivata e che, prima o poi, dovrebbe toccare a tutti. Lo scudo vero, contro il virus capace di moltiplicare per dieci gli anticorpi che ci proteggono e di prolungare nel tempo la barriera contro l’aggravarsi di un eventuale contagio. Musica per le mie orecchie, forse anche per il fatto che da un decennio almeno ogni anno faccio il vaccino contro l’influenza stagionale. O se volete non sono preda dei demoni mentali che stanno trasformando molti indecisi in una congrega che di fatto rifiuta la scienza e le sue evidenze. Prima solo No Vax e poi anche No Green Pass, in un crescendo di rifiuti non solo alla realtà che il mondo straziato dalla pandemia ci ha mostrato, ma anche alle regole di una buona convivenza civile. Senza vaccini, senza mascherine, senza precauzioni, rifiutando tutto, con la pretesa di non essere rifiutati. Anzi, accolti e ascoltati. Eppure sono quasi tutti dei loro quelli che affollano i reparti ospedalieri, in compagnia di persone fragili o già vittime di patologie gravi. Sempre l’infettivologo di prima, liquida la questione considerandoli un’esigua minoranza, rispetto ai milioni di italiani che il vaccino lo hanno accettato. Se non addirittura scelto. Ma come giudicare allora oltre un migliaio di medici e infermieri dichiaratamente No Vax? Proprio loro che di scienza dovrebbero vivere? La responsabilità, dice qualcuno, è della cattiva informazione, degli allarmi ingiustificati (ricordate Astra Zeneca?) e di altro che sinceramente mi fa più paura. E non parlo di sette o di maganze. Piuttosto di infiltrazioni, di gruppi dove convivono mix di culture negazioniste e persino eversive. Come se il virus oltre ad infettare il corpo potesse creare i prodromi del contagio sociale.

beppe.fossati@cronacaqui.it
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