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Le occasioni che servono

Flag of UEFA Champions League

Foto Depositphotos

Dopo i libri, ecco l’arte. Poi toccherà al tennis. Grandi eventi che animano una Torino ben decisa a ripartire, con un libro dei sogni che potrebbe comprendere anche una finale di Champions League, se non fosse che gli stadi torinesi sono troppo piccoli - l’Europa League però c’è già stata, e le partite della Nazionale, quelle della Europa League che certo non sono uno scartino -, e altri festival, sedi istituzionali di rilevanza nazionale, centri di studio e ricerca, il tutto inserito in uno scenario che non è quello desertico che qualcuno vuole immaginare. Perché Torino di appuntamenti di rilievo ne ha già, ne ha sempre avuti. Forse è mancata la strategia, se non la voglia di farli fruttare al massimo, è mancata qualche sinergia, si è peccato - in tanti, troppi casi - di un provincialismo dal quale non si riesce a venir fuori. Qualcuno mi dirà: come fai a esser contento di queste cose quando mezza Torino ha problemi a sbarcare il lunario, quando le aziende chiudono, i prezzi aumentano (e i salari e le pensioni no), migliaia di persone rischiano di perdere la casa? Uno sfrattato può andare a vivere in uno stand del Salone, forse? Un disoccupato mangia una tela dipinta o una scultura? No, nessuno di noi dimentica i problemi reali di una città in profonda crisi. E nessuno vuole giocare a pallone in mezzo alle macerie, o produrre brioche se manca il pane. Torino ha bisogno di lavoro, di produzione, di stabilità. Ma una città, da sola, non può aprire fabbriche, né impedire a quelle esistenti di chiudere. Una città può essere attrattiva per gli investimenti, per una dimensione internazionale che dia la spinta a tutti i settori. E per arrivarci bisogna sfruttare le occasioni. Senza illudersi che l’abito tirato a lucido in tintoria nasconda i rattoppi.

andrea.monticone@cronacaqui.it
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