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L’albero della Thyssen

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Lumini, messaggi di dolore ma anche di rabbia, fiori e palloncini. Le transenne di via Genova diventano una sorta di altare ai martiri del lavoro, gli ennesimi di un rosario che si sgrana senza mai fine. Ricordate? C’era qualcosa del genere davanti alla Thyssen, una specie di “albero della memoria” con foto e fiori. Non c’è più. Cosa si diceva, in quei giorni lontani? «Mai più». Vediamo bene che non è stato così, non può esserlo. Gli infortuni sul lavoro proseguono, in ogni settore. Giovani risucchiate dai macchinari cui le protezioni di sicurezza sono state disattivate per guadagnare tempo nella produzione. Padri di famiglia che precipitano in cantieri dove la parola d’ordine è fare in fretta, perché le impalcature si alzano veloci in questo periodo. La chiamano «ripresa», dopo il lockdown. Ma a che prezzo? E ci sono lavoratori, dipendenti o piccoli artigiani, che perdono la vita a settant’anni suonati, quando sarebbe giusto invece essere in pensione, non sul posto di lavoro, ancora, perché l’assegno mensile non basta mai, perché magari ci sono figli precari o nipoti disoccupati da aiutare. Con un quadro avvelenato dai dati drogati delle nuove assunzioni, che sappiamo benissimo essere per la maggior parte precarie, a termine, atipiche, siamo abituati a ogni tipo di terminologia ormai. Il governo ha promesso l’assunzione - ad agosto - di oltre 2mila ispettori del lavoro, ma saranno una goccia del mare se consideriamo che le aziende in Italia sono oltre quattro milioni. Poi ci sono le norme, quasi tutte da cambiare, da aggiornare. E le promesse, gli impegni: vigileremo, controlleremo, puniremo... Costruiremo mausolei. È più facile. Lo abbiamo già visto. andrea.monticone@cronacaqui.it
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