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Immunità di gregge

tampone coronavirus

Covid in Piemonte (foto: depositphotos)

La rapidità con la quale la variante Omicron si diffonde, il numero di persone positive, mai così tante dall’inizio della pandemia, fanno riscoprire un vecchio mantra, quello dell’immunità di gregge. Una soluzione che già nel corso della prima ondata era stata invocata da scienziati e politici anglosassoni, per poi essere successivamente definita come una chimera che non si sarebbe mai realizzata. In effetti la storia della medicina insegna che sia stata raggiunta una sola volta, per il vaiolo, debellato dai vaccini somministrati ai sopravvissuti. Ora di immunità di gregge torna a parlare il professor Matteo Bassetti, direttore delle Malattie Infettive dell’ospedale San Matteo di Genova, virologo social e ospite fisso nei salotti Tv. Odiato e minacciato da quel che resta del popolo No vax, Bassetti (che vive sotto scorta) fonda le sue affermazioni su solide basi scientifiche. Il fatto che in questo momento vi sia una iper circolazione del virus a causa di Omicron, potrebbe far diventare la variante predominante nel giro delle prossime due o tre settimane, quando il virologo prevede il picco di contagi. Se questo dovesse realmente avvenire, verso marzo o aprile «raggiungeremmo l’immunità di gregge con il 95% degli immunizzati. Dico questo - spiega Bassetti - perché chi non è vaccinato oggi, nei prossimi tre mesi sarà sicuramente contagiato». E se sarà fortunato avrà i sintomi di un raffreddore o di un’influenza. Il rimedio è tutto nei vaccini, e Bassetti suggerisce di non chiudere, anche quando la situazione migliorerà, gli hub vaccinali. Ciò permetterà al Paese di continuare ad andare avanti, senza bisogno di tornare a quel lockdown che nessuno vuole. Certo, il prezzo da pagare sarà alto, se è vero quel che sostiene il professor Carlo La Vecchia, epidemiologo e docente dell’università Statale di Milano, più pessimista del collega: «Il rischio è che l’Italia si ritrovi tutta in zona rossa a fine gennaio. Perché - ha sottolineato -, il dato veramente preoccupante è che i decessi, l’aumento di ricoverati, riflettono i casi di due-tre settimane fa, quando avevamo mediamente 25-30mila contagi al giorno. Se i numeri di oggi si tradurranno fra due o tre settimane in malati gravi, saremo in una situazione difficile». Ma gli ospedali sembrano reggere. Il picco di ricoverati dello scorso anno è stato di 32mila (dato nazionale), quindi sta aumentando di mille al giorno e la saturazione dei posti, con questi numeri, non avverrà prima del 20-25 gennaio. Dunque c’è ancora un po’ di tempo per adottare misure energiche e mirate che consentano comunque al Paese di andare avanti. Intanto i dati di ieri diffusi dall’Unità di crisi del Piemonte, rilevano numeri altalenanti: 16.937 nuovi positivi (ma i tamponi somministrati sono stati meno del giorno precedente), 49 nuovi ricoverati (il totale è di 1.460 unità), 4 pazienti in più in terapia intensiva (il totale è di 122 degenti), 14 decessi per Covid e 109.352 persone in quarantena: un piemontese su 39.

marco.bardesono@cronacaqui.it
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