È notte. Il comprensorio studentesco di via Borsellino è avvolto nelle tenebre. Poi le urla di una ragazza rompono il silenzio. Un uomo con la felpa bianca esce di corsa. Sta scappando. I lampeggianti delle auto della polizia illuminano la strada. Arriva anche un’ambulanza. Sembra l’inizio di un brutto film di Halloween. Troppo cruento perché possa realmente fare paura. E invece è successo a Torino, dove una studentessa di 23 anni è stata aggredita e violentata nella sua stanza, al nono piano della residenza universitaria dove alloggiava. Qualcuno l’ha sentita urlare, ma era troppo tardi. Ora - soprattutto tra le ragazze del campus - regna un grande senso di angoscia e impotenza. «Ho paura» racconta, Asmae Idmane, vent’anni, marocchina di origine e toscana di adozione. «Quando l’ho saputo sono scoppiata a piangere. Mi è preso come un attacco di panico. Se pensi che possa toccare a te, si annebbia il cervello». Poi la mente va diretta a quel cancello d’ingresso da cui si accede ai dormitori e che troppo spesso resta aperto, anche durante la notte. «Le porte delle camere non sono affatto sicure - aggiunge ancora la ragazza - basta una carta per forzarle e non c’è nemmeno uno spioncino da dove poter vedere chi arriva. Personalmente ho molti amici all’interno della residenza: se uno mi bussa alla porta, io apro. Non penso che possa essere qualcuno che voglia farmi del male». La notizia dello stupro corre veloce su Internet. Gli studenti del campus sono per la quasi totalità fuori sede e nella giornata di ieri hanno dovuto informare i genitori di quanto era accaduto. «Devo avvisare mia madre» ragiona ad alta voce una giovane. «Mi dirà di non tornare più» conclude. «Questa palazzina per noi è come una casa» spiega Emanuele, anche lui studente che abita in via Borsellino. «Quando succedono episodi come questi ti senti violato» aggiunge. I ragazzi parlano ininterrottamente dell’accaduto: il tempo si è fermato al momento dell’aggressione. Niente, d’ora in avanti, sarà più come prima. «Vivo qui da un mese - racconta Louis, originario del Perù -. Prima mi sentivo sicuro, ora non so cosa pensare». Allo stesso modo, Carlo, giovane pugliese, commenta: «Consiglierei a chiunque di chiudersi a chiave in camera». Alcuni studenti, come Amin, hanno visto arrivare l’ambulanza. «Ho saputo cos’era successo dal gruppo Telegram dello studentato, non ci potevo credere» racconta. E a mano a mano che i dettagli della vicenda prendono forma sale l’angoscia tra gli studenti. C’è chi non vorrebbe neppure tornare a dormire nella palazzina senza la certezza che lo stupratore sia stato catturato. La paura, quella più profonda, aleggia dietro lo sguardo basso delle studentesse. Nei loro silenzi. Dietro il non detto: «Poteva capitare a me», che accompagna ogni donna. Sempre.
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