l'editoriale
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03 Marzo 2022 - 08:48
Jonathan Bazzi è una sorta di unicum del panorama letterario italiano “giovane”, tanto per usare una etichetta che non conviene a nessuno, ormai superata e svuotata, ma che ancora resiste. Trentuno anni, originario della periferia milanese di Rozzano, anzi di «Rozzangeles», suburbe sottovalutata abbinata ai rapper della nuova generazione, ha sorpreso in finale al Premio Strega con quella sorta di autofiction che era “Febbre”, ma che si svela in realtà come narrazione filosofica - Jonathan è laureato in filosofia - della scoperta della sieropositività come condizione di afflizione ma non letale, un sollievo per chi pensava alle mille implicazioni di quella febbriciattola persistente, e poi cosa non uccide fortifica eccetera eccetera...
Adesso Bazzi fa il salto nel vuoto del secondo romanzo, quello che ti consacra o ti ammazza - a proposito del punto precedente - con “Corpi minori” (Mondadori, 19,50 euro), una storia di crescita e di amore, quindi di sofferenza. E’ lui stesso, tramite la Mondadori, a raccontare di questo libro, «un libro che cerca essenzialmente di parlare di transizioni, di movimento fisico e identitario. Due i movimenti, in particolare, quelli al cuore di questo romanzo che ho scritto tra la fine del 2019 e l’autunno 2021: un movimento ideale, e poi concreto, che dalla periferia conduce il protagonista al centro della città, e quello dall’amore atteso, idealizzato, all’amore reale, a ciò che accade quando gli incontri a lungo sognati ci chiedono di fare i conti col limite di ogni presenza finita, circoscritta».
I corpi minori celesti sono quegli asteroidi, comete, quegli elementi del cosmo che non sono pianeti né stelle né fenomeni particolari, transitano, comportano alterazioni, ne subiscono, ma di fatto non hanno uno spazio stabilito nella mappa cosmica. E così il giovane protagonista del romanzo, dalla periferia della grande città, senza genere, senza un posto ancora nel disegno troppo schematico del mondo, impegnato nell’impresa di diventare adulto, secondo la classificazione che comporta il passaggio dai venti ai trent’anni. «All’inizio questo post-adolescente senza nome - racconta Bazzi -, che non si sente né maschio né femmina e fatica nello scegliere quale talento coltivare, vive con la famiglia in una delle tante periferie complicate del nostro Paese. Poi, attraverso il compromesso di un amore senza amore, di una relazione di convenienza, giunge finalmente in città. Ma i sogni, una volta traghettati nella realtà, facilmente rivelano fattezze diverse da quelle promesse. Arrivano quindi gli affanni e gli espedienti, nel tentativo di non tornare ai margini. Fino all’incontro con quello che sembrerebbe essere l’amore vero: dopo un decennio di tentativi falliti, il destino sopraggiunge e ha il volto di un ragazzo più giovane di origini rumene, aspirante designer di moda». Quindi idillio, per un po’... L’amore, la realizzazione, il disegnare se stessi nel rapporto con l’altro «ma presto una voce interiore sbuca e, proprio sul più bello, prende a chiedere altro, imponendo di rimettere tutto in discussione, e forse tutto distruggere».
Una storia certo ambiziosa, per cui in tanti hanno già cominciato a scomodare il Tondelli di “Altri libertini” (succede sempre quando esplode uno “scrittore giovane”, soprattutto se lo si vuole iscrivere nell’altra categoria ancor più ghettizzante di «scrittore omosessuale», per intenderci Tondelli le odiava entrambe): «Volevo alzare la posta, esponendo parti di me, e di noi tutti, ancora più intime, e forse compromettenti: la voce narrante di questo libro infatti si assume il rischio dell’ambiguità. Un registratore compulsivo delle scene e delle figure del mondo in cui ci muoviamo che, sulla base di queste, prova a rilanciare il gioco dell’immaginazione, scoprendo nel cantiere della costruzione letteraria il principale terreno di edificazione del sé».
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