«Esistendo davo fastidio. Ora, dopo 15 coltellate tutti quanti mi amano…»
09 Febbraio 2023 - 07:24
Una notte, prima di quell’11 agosto dove alla Chautauqua Institution, New York, è stato poi accoltellato da un invasato, salvandosi per miracolo, Salman Rushdie aveva sognato: qualcuno che «come un gladiatore» lo attaccava con «un oggetto appuntito». Ma chi può pensare di darci peso? Soprattutto un uomo condannato a morte da Khomeini trentasette anni fa? Dopo sei settimane d’ospedale, dopo lunghi mesi, ora Salman Rushdie cerca di tornare faticosamente alla vita e non ha timore, neppure su Twitter, di mostrare le sue menomazioni. Ma non per impietosire. «Ho sempre cercato molto duramente di non adottare il ruolo di una vittima» ha detto in questi giorni in una lunga intervista a David Remnick del The New Yorker. «Allora te ne stai lì seduto a dire: Qualcuno mi ha piantato un coltello in corpo! Povero me. . . . Cosa che a volte penso. Fa male. Ma quello che non penso è: questo è ciò che voglio che le persone che leggono il libro pensino. Voglio che siano catturati dal racconto, che si lascino trasportare». Vuole essere un narratore, non una storia. Come invece gli è accaduto ai tempi della fatwa, divenendo personaggio di uno spettacolo teatrale e anche di una spy story dove a salvarlo era nientemeno che il principe delle spie Sas, di Gerard De Villiers. In questi giorni esce il nuovo romanzo, “La città della vittoria” (Mondadori, 22 euro, traduzione di Sara Puggioni e Stefano Mogni): nell'India del XIV secolo, dopo una sanguinosa battaglia tra due regni ormai dimenticati, una bambina di nove anni, Pampa Kampana, distrutta dal dolore per la morte della madre, diventa un tramite per la dea sua omonima, che non solo inizia a parlare attraverso la sua bocca, ma le accorda enormi poteri e le rivela che sarà determinante per la nascita di una grande città chiamata Bisnaga (letteralmente "città della vittoria"). Una storia fascinosa, dove storia e leggenda si intrecciano, dove la narrazione è l’artefatta traduzione del manoscritto in sanscrito delle memorie della bambina divenuta dea. Un romanzo finito ben prima dell’attentato. Oggi Salman Rushdie fa i conti con una specie di blocco dello scrittore, con la difficoltà fisica: ha perso un occhio e l’uso della mano sinistra, «ho sensibilità nel pollice e nell'indice e nella metà inferiore del palmo. Sto facendo molta terapia della mano e mi è stato detto che sto andando molto bene. Scrivo solo più lentamente. Ma ci sto arrivando. Considerando quello che è successo, non sto poi così male». Quella che non manca è lo spirito, nello sforzo di riappropriarsi della normalità, fatto per lungo tempo, continuando a scrivere, ad andare al ristorante, anche a viaggiare, a esistere, insomma: «Alla gente non piaceva. Perché sarei dovuto morire. Ora che sono quasi morto, tutti mi amano... È stato un mio errore, allora. Non solo ho vissuto, ma ho cercato di vivere bene. Brutto errore. Prendi quindici coltellate, molto meglio». LA CITTÀ DELLA VITTORIAAutore: Salman Rushdie Editore: Mondadori Genere: Romanzo Prezzo: 22 euro
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